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Busto Arsizio | 24 febbraio 2024, 08:48

VIDEOINTERVISTA. La luce dei ragazzi ucraini a Busto due anni dopo: «Crescono gioiosi e diligenti ed è la ricompensa più bella per tutti noi»

Dal viaggio di quasi 3mila chilometri per portare in salvo i piccoli alla vita in città e all'oratorio oggi. Don Giuseppe Tedesco: «Allora siamo partiti perché ci siamo sentiti convocati dai bambini. Oggi mi sento investito di una meravigliosa responsabilità, traghettarli a diventare giovani uomini e donne». La comunità, il gesto delle scarpe e la "divisione" calcistica

Don Giuseppe Tedesco e l'arrivo due anni fa: fece quasi 3mila chilometri con diversi volontari per portare qui i bimbi ucraini

Don Giuseppe Tedesco e l'arrivo due anni fa: fece quasi 3mila chilometri con diversi volontari per portare qui i bimbi ucraini

Si può parlare di gioia, nonostante la tragedia della guerra? Si deve, quando ci sono dei ragazzini che in questi due anni stanno crescendo per costruirsi un futuro. E che raccontano con la loro vita quotidiana anche una storia positiva di comunità a Busto Arsizio. Un contagio reciproco che rappresenta una luce in un periodo apparentemente ancora oscuro.

A due anni dall'esplosione del conflitto in Ucraina, il pensiero non può che correre anche al viaggio della speranza. Quello che intraprese don Giuseppe Tedesco con alcuni volontari e commosse tutt'Italia, quasi 3mila chilometri per portare in salvo i bambini (LEGGI QUI). 

Oggi ci sono 14 persone alla Casa Don Lolo, in oratorio sei. Per la gran parte minori, con le mamme, tranne i ragazzi che segue don Giuseppe con la sua famiglia: orfani di mamma, sono una ragazza di 17 anni e i fratellini di 15 e 13. «Sono cresciuti - racconta don Giuseppe e il volto si illumina - Sono grandicelli ormai. Due vanno alle scuole superiori e sono molto sereni. Penso che sia la ricompensa più bella».

Per il parroco di San Giuseppe, per tutta la comunità, perché questa è proprio una storia virtuosa di comunità. Don Giuseppe usa proprio questi aggettivi per i ragazzi: «Gioiosi, sì, gioiosi. Cantano, si abbracciano, lottano come fanno i fratelli. All'inizio non era così».

Ma c'è di più: «Sono ragazzi educati, contenti e rispettosi. Diligenti, me lo dice la scuola. Mi chiamano don, com'è giusto. Io non sono il loro papà. Ce l'hanno, un padre, quel caro uomo che li sente tutte le settimana e quando può viene qui. Studiano più che possono, il loro titolo sarà spendibile in Europa».

Sul domani, inutile arrovellarsi, invita don Giuseppe. La speranza non può che essere quella della pace, presto, ma intanto «viviamo alla giornata il meglio possibile, il futuro è nelle mani di Dio». 

Colpisce il rapporto con gli altri ragazzi, anche se dovrebbe essere sempre così. In realtà, la parola "altri" non esiste. Anche lo sport è un veicolo di unione importante: loro giocano a calcio all'oratorio. Paga il lavoro di integrazione svolto fin dai primi momenti: «Sì, sta dando i suoi frutti. La Caritas Ambrosiana si è impegnata ad esempio con i buoni spesa, e così la Fondazione Same anche con le spese sanitarie e scolastiche, come pure il finanziamento di alcuni educatori». Così si è creato un clima normale, sereno. Del resto - ricorda don Giuseppe - l'oratorio è la casa di tutti, e tutti aiuta la Caritas, non guarda il passaporto.

L'unico neo - si scherza, perché bisogna anche fare questo - è la "divisione" calcistica. «Già, purtroppo loro tifano per la parte sbagliata - sorride don Giuseppe, noto milanista mentre i ragazzini sono interisti  - L'altra sera erano in camera e io in sala con il papà, sento il loro urlo...».

È quello che accade nelle famiglie, e questa è la storia di una famiglia, di una comunità, di una città. 

«Oggi mi sento investito di una grande, meravigliosa responsabilità - osserva il sacerdote - traghettare i bambini a diventare giovani uomini e donne, spero con la gratitudine nel cuore e la consapevolezza che hanno ricevuto tanto e che domani dovranno fare la loro parte per rendere più bella la società in cui vivono».

Nel frattempo, lo fanno già con piccoli, silenziosi gesti. Colpì il voler aiutare subito in oratorio, ma Don Giuseppe racconta anche quello delle scarpe: «Lo dicevo in un'omelia... Un giorno in un grande magazzino, ho visto un ragazzo di 16 anni fare i capricci come un bambino per delle scarpe, sono rimasto shockato. Loro capiscono il valore di quello che ricevono. Quando li ho portati a comprare le scarpe, perché crescono, guardavano le meno costose e mi chiedevano: ma tu, non compri mai niente per te?».

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Marilena Lualdi

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