Nel tessuto urbano di Roma si cela una storia di sofferenza e ingiustizia che ha segnato la vita di Armando Cecconi, destinato a lottare contro un nemico invisibile ma letale: l’amianto. La Corte di Appello di Roma, V Sezione Lavoro, ha accolto l’appello dell’Avv. Ezio Bonanni, e ha condannato Roma Capitale per la morte del Sig. Armando Cecconi, per mesotelioma pleurico da esposizione professionale ad amianto. Queste fibre, dette anche di asbesto, sono altamente cancerogene, e provocano anche cancro del polmone, tumore della laringe, asbestosi e tante altre malattie asbesto correlate. La battaglia legale sostenuta dall’Osservatorio Nazionale Amianto ha avuto inizio nel 2012 dopo che era emerso che Armando Cecconi, dipendente del Comune di Roma, fu impegnato nella manutenzione dell’impiantistica, oltre che come netturbino. Un lavoro che lo porta a esporre la sua salute al rischio costante presente negli ambienti lavorativi infestati dall’amianto.
L’uomo è deceduto all’età di 58 anni, nell’agosto del 2004. Alcuni anni dopo, grazie all’impegno dell’Avv. Ezio Bonanni, è emerso l’uso di amianto nei locali tecnici di Roma Capitale, sia i vecchi computer sia gli impianti elettrici avevano componenti di amianto. Il rischio era reale e insidioso, soprattutto legato all’impianto di condizionamento, fonte di polveri che potevano irritare le vie respiratorie, provocare la tosse difficoltà di respirazione. Nonostante le lamentele e le preoccupazioni espresse dai dipendenti, nessuna azione concreta è stata intrapresa per proteggerli. L’esposizione ad amianto è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma, che ha ribaltato il giudizio di I grado che aveva escluso le responsabilità del Comune di Roma. L’esposizione ad amianto del Cecconi si è verificata dal ’70 al ’94, senza che questi fosse preventivamente informato e formato del rischio, e senza misure di sicurezza. Grazie all’impegno di Bonanni, e dei tecnici dell’Osservatorio nazionale Amianto, sono state ricostruite le modalità dello svolgimento del lavoro ed è stato accertato il livello espositivo, e la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia del Comune di Roma.
La Corte di Appello ha disposto prima di tutto la CTU tecnico ambientale, con la quale ha accertato che il defunto ha subito lunga esposizione ad amianto senza alcuna cautela, e la CTU medico legale con la quale ha accertato che il mesotelioma che ha provocato la morte di Armando Cecconi è riconducibile all’esposizione ad amianto provocata dal Comune di Roma. Per questi motivi, la corte di Appello ha ritenuto sussistente la responsabilità del Comune di Roma e lo ha condannato al risarcimento del danno. La pronuncia che assume un valore storico, perché accerta per la prima volta il rischio amianto a carico di Roma Capitale, ovvero al Comune di Roma, si è tradotta nella prescrizione del danno dei famigliari. Nessun risarcimento è stato accordato alla moglie Giovanna Colasanti e al figlio Emanuele, che hanno perso non solo il loro caro, ma anche la fonte principale di reddito e sostentamento in casa. Per quanto riguarda, invece, il danno subito dal Cecconi, nei circa due anni di agonia, occorre osservare che la Corte ha liquidato un importo minimo di poco più di € 61.000,00.
“Questa quantificazione non è condivisa, né condivisibile perché non tiene conto dei parametri stabiliti dalla Suprema Corte di Cassazione, tra cui quello dell’integrale risarcimento di tutti i danni. Per questo motivo, presenteremo il ricorso in Cassazione per contestare questa quantificazione e allo stesso tempo per chiedere anche l’annullamento della dichiarazione di prescrizione dei diritti dei famigliari per i danni da lutto”, dichiara l’Avv. Ezio Bonanni, legale della famiglia della vittima e Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto.
Nonostante le evidenze schiaccianti e il chiaro legame tra la patologia e l’esposizione all’amianto sul luogo di lavoro, le istituzioni hanno innalzato un muro di gomma, rifiutandosi di riconoscere adeguatamente il danno subito dalla famiglia di Cecconi. Roma Capitale ha negato la propria responsabilità datoriale e si è appellata alla prescrizione, respingendo il ricorso e aggiungendo ulteriore dolore alla famiglia già provata da una perdita così ingiusta. La tragedia ha avuto conseguenze devastanti: la famiglia ha perso la propria casa, incapace di far fronte ai pagamenti del mutuo. Si è dunque vista costretta a vivere in una depandance realizzata all’interno di un garage, mentre il giovane figlio ha dovuto rinunciare ai propri sogni per iniziare a lavorare e contribuire al sostentamento familiare.La lotta dei familiari proseguirà fino a quando non si otterrà un risarcimento adeguato che tenga conto non solo del danno economico, ma anche del dolore e della sofferenza inflitti dalla negligenza del Comune.
L’ONA è a disposizione per la tutela dei diritti di tutti i soggetti esposti con un servizio di consulenza tramite il numero verde 800 034 294.