«Cont ul negozi in sü ‘l canton el fà danée anca un cojon». Il motto, coniato in tempi diversi dai nostri da Antonio Giorgetti, dovrebbe essere riprodotto su una targa affissa al muro del Panificio Alimentari Pigionatti Davide & c., in via Bizzozero 1 angolo piazza della Motta dagli anni ’40, a testimoniare la bontà della saggezza popolare.
Lo storico negozio è infatti visibile da ogni angolo della piazza, e nonno Antonio, fondatore della panetteria condotta poi dal genero Ernesto Pigionatti e oggi dal nipote Davide, ci vide lungo, perché il forno, tra i pochi rimasti in città, funziona tuttora a pieno regime e propone una quarantina di tipi di pane, sfamando anche gli stomaci più esigenti.
Ma andiamo con ordine, partendo dalla vita avventurosa di Antonio Giorgetti, figlio di panettieri di Brissago Valtravaglia, emigrato nel Congo belga tra le due guerre per fare il commerciante di pellami, arrivato fin là sano perché sulla nave, nell’interminabile viaggio fino all’Africa, si era messo a panificare per tutti.
Verso il 1940 Antonio torna in Italia con un gruzzoletto e arriva a Varese e, con altri due panettieri, Vercellini e Chiavenna, avvia un forno a Biumo, anche se quel “canton” della Motta gli continua a picchiare in testa, finché si affranca dai soci e apre per conto suo.
Negozio piccolo ma efficace, forno e tanto olio di gomito, le cugine richiamate da Brissago a lavorare con lui, e un giovane di bottega, Ernesto Pigionatti da Venegono, classe 1923, che tutti i giorni va su e giù in bicicletta, orario da mezzanotte a mezzogiorno, finché sposa Marcellina Giorgetti, figlia di Antonio, e si stabilisce in città. Chiamato alle armi a 19 anni, fu deportato a Danzica e si salvò grazie al mestiere: si offrì di fare il pane assieme a un francese e a un tedesco a capo del forno, un turno a testa, 24 ore su 24.
«Nel dopoguerra, il pane era l’alimento base, ogni giorno le famiglie ne consumavano anche due chili, e si ricercava soprattutto quello bianco, fatto con la farina 00, perché durante il conflitto mancava, e si suppliva spesso mescolando nell’impasto bucce di patate. Andavano molto anche il “pan tranvaj”, così chiamato perché gli operai lo mangiavano andando al lavoro in tram e, molto calorico per via delle uvette, era quasi un pranzo, poi il francese e il pane all’olio, oggi quasi dimenticato», spiega Davide Pigionatti, 57 anni, che incontriamo appena uscito dal forno, dopo una notte di lavoro.
«Ho tre sorelle e un fratello, ma nessuno, a parte aiutare un po’ in negozio in gioventù, ha preso la mia strada. Ho studiato ragioneria e fatto anche pratica in uno studio, ma un giorno ho capito che il mio lavoro sarebbe stato questo, così ho affiancato papà, che non si è fermato fino agli ottant’anni. È stato il mio maestro. Purtroppo la mia sarà l’ultima generazione, i miei figli, Valentina, fisioterapista, e Paolo, studente alla Liuc di Economia e commercio, non seguiranno le orme paterne, anche se, come da tradizione familiare, aiutano ogni tanto in bottega».
Davide lavora al forno dal 1985 e la moglie, Patrizia Cerutti, figlia di commercianti - suo padre era titolare prima del Garden Bar e poi dell’edicola di Piazza XX Settembre - è in società con lui da quasi trent’anni.
«È molto di più del mio braccio destro, senza di lei non ce l’avrei mai fatta a mandare avanti l’attività, segue l’intera parte amministrativa oltre a stare alla cassa e servire quando occorre. Abbiamo due commesse, Catia e Daniela, e due operai, Luigi e Roberto, che mi aiutano al forno. Incomincio alle 2,30 di notte e di solito finiamo verso le 11-11,30, dipende dagli ordini e dai tipi di pane che sforniamo. Poi vado a pranzo e dormo, per riprendere alle 18 e preparare gli impasti».
Davide ha seguito diversi corsi di aggiornamento, soprattutto per imparare a sfornare i pani regionali, è l’inventore di un particolare pane di segale contenente semi di sesamo, e prepara pani stagionali, come quello di zucca, mettendo nell’impasto non la polvere ma la polpa dell’ortaggio, o il “pan giald” con la farina di mais, da consumare soprattutto nei mesi freddi. Per le farine, si serve da due mulini, uno a Voghera e l’altro, il Mulino Novelli, a Tortona.
«La mia specialità però, oltre al “pan tranvaj”, è il bastone francese, fatto interamente a mano perché la pasta è talmente tenera che non si può mettere nell’impastatrice. È la ricetta di mio padre, che seguo gelosamente. Il pane segue le mode: oggi sono spariti le biove, il pane all’olio -papà ne produceva uno molto lavorato chiamato “come tu mi vuoi”- e l’arabo, si privilegia quello morbido, fatto con la farina di grano duro, perché si conserva facilmente nel freezer, vanno molto segale, farro e integrale. Poi faccio il “pan meìn”, il pane di miglio, nei giorni intorno a San Giorgio, che si festeggia il 23 aprile. Una volta in questo giorno i lattai firmavano il contratto annuale per il prezzo del latte, e poi “brindavano” intingendo il pan di miglio nella panna. Da qui il detto: “Per San Giorgin sa mangia ul pan meìn”. Produciamo anche pasticceria da forno e, da sempre, vendiamo alimentari, dal prosciutto ai ravioli, sughi, pasta e formaggi, perché in origine il negozio era un prestino- posteria».
Pigionatti ha clienti affezionati che si succedono generazione dopo generazione, in negozio passava Rosita Missoni e sia Attilio Fontana sia Davide Galimberti sono grandi consumatori del “pan tranvaj” fatto con tanta uvetta come diceva papà Ernesto, mentre habitué sono Andrea Meneghin, Aldo Ossola e Alberto Bortoluzzi.
Il forno, che serve il ristorante da Venanzio, i bar Lyceum e Il Tenente, il Globe Cafè, Vitamina Cafè e Vecchia Varese, garantisce da sempre i panini ai Monelli della Motta per la festa di Sant’Antonio, e ai tempi di papà Ernesto un grande tavolo era posizionato nel portico con panini e vino per tutti. «Poi una volta sparirono alcuni oggetti tra cui l’orologio d’oro del nonno, così la tradizione si interruppe. Ci sono poi clienti che passano da noi solo il giorno del falò, acquistano il “pan tranvaj” e dicono “ci vediamo l’anno prossimo”».
Davide Pigionatti, che quest’anno ha ricevuto dalla Famiglia Bosina il Premio per l’”Attività commerciale dell’anno”, non ha molto tempo per coltivare altre passioni: «Amo camminare nella natura, abbiamo una casa in Val Cannobina e appena possiamo ci facciamo un salto. Poi stare con gli amici e i colleghi fornai, che ormai hanno tutti più di 50 anni o sono già in pensione. È un mestiere che non ha futuro, tra qualche tempo il pane lo si troverà soltanto nei supermercati. Però io sono fiero di aver portato avanti al meglio un’attività storica come la nostra».