Varese dalla vetrina - 11 giugno 2023, 08:25

VARESE DALLA VETRINA/2 - Eros, lo "specchio" su piazza Beccaria: «Io, parrucchiere e psicologo. I varesini chiusi e freddi? Non è vero: ti danno tanto»

Prima con Renato, "fuggito" nel 2008 in Finlandia per amore, poi da solo, Eros Ferri è il presidio delle acconciature maschili e del buon umore: «Qui la gente viene per rilassarsi, mica sta andando dal medico». I ricordi sono tanti, basta partire dalla "parete della gloria": i capelli verdi al Poz, il Varese della scalata fino a un passo dalla Serie A e il "fico" Max con la scopa in mano

Eros Ferri seduto su una delle poltrone dove da trent'anni taglia i capelli ai varesini. Nelle altre immagini la "parete della gloria", i ricordi e l'esterno del locale

Una nuova rubrica farà compagnia ai nostri lettori in questi mesi estivi. Si chiama “Varese dalla vetrina” e sarà un contenitore di racconti, pensieri e opinioni di chi, con la propria attività, è stato ed è ancora oggi un testimone autentico della storia di questa città. Di chi con essa ha intrecciato vita, progetti e sogni, scommettendo sul lavoro e sui varesini. Di chi, con il trascorrere del tempo, ha visto ogni cosa cambiare e può spiegarci questi cambiamenti. Di chi guarda il passato con la luce dei ricordi a illuminargli gli occhi e una vena di malinconia a inumidirgli il cuore, ma trova - magari con più difficoltà, ma almeno ci prova - uno spiraglio di quella stessa luce anche nel domani. 

“Varese dalla vetrina” sarà una narrazione senza troppi ricami o commenti giornalistici: spazio quasi esclusivo alle parole dei protagonisti, alle loro piccole o grandi parabole esistenziali e commerciali vissute dietro a un vetro. Un vetro che ha sempre ”dato” sul mondo comune a tutti noi. 

Buona lettura.

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La parete destra del negozio è quella di sempre. La ritrovi uguale anche a distanza di anni. Ed è un sollievo: significa che nessuno ha avuto il coraggio di “toccare” il profumo dei ricordi.

I "ferri del mestiere", le ampolle con la pompetta, le lamette ma soprattutto quattro, cinque foto e un quadretto con alcuni ritagli della Prealpina. Un po’ "parete della gloria", un po’ storia dello sport varesino (e non solo), un po’ didascalia di uno spirito - fatto di sorrisi, goliardia e amicizia - che non è mai morto.

Anche i muri, insomma, parlano. Insieme al loro “custode” Eros Ferri.

«Quando il Varese era in Serie B venivano tutti: giocatori, dirigenti, allenatori. Il più famoso tra i calciatori? Beh direi Pavoletti. Quello che più devo ringraziare, però, è Alessandro Armenise, arrivato tra i biancorossi nella stagione 2008. Era agosto, passò di qui per chiedermi di “pulirgli” il collo e le basette, una roba veloce… Quando mi chiese quanto mi dovesse, gli risposi “niente”: lui allora, per ringraziarmi, sparse la voce tra i compagni e da quel giorno il Varese della scalata giunta fino a un passo dalla A è venuto qui a tagliarsi i capelli. Anche Sannino e Maran, sebbene fossero pelati... Sai com’è? Due chiacchiere, due notizie…».

Da una palla a un’altra. «Vabbè il “Poz” e il “Menego” sono sopra tutti. La testa verde di Gianmarco è nata qui dentro, poi siamo andati fuori dal palazzetto a farla a tutti i tifosi: era il 2000, l’anno dopo lo Scudetto della Stella. Cecco Vescovi viene ancora, qualche volta ho fatto i capelli anche a Ferrero, un bravissimo ragazzo. E poi un sacco di allenatori: Magnano, Lombardi, Recalcati, Pillastrini… Mi ricordo infine particolarmente bene anche di Nikola Loncar, un serbo degli anni pre 1999: era fuori di testa, un matto - in senso positivo - vero. Un grande». 

Scritto che c’è anche un po’ di Milan tra pettini e rasoi («Sapete chi veniva sempre prima di trasferirsi? Il "Gegio", Germano Lanzoni, alias il Milanese Imbruttito e speaker di San Siro. Sua moglie era di Varese e lui passa ancora oggi a salutarmi…»), a guardare sulla sinistra scende pure una lacrima ancora fresca, mista tuttavia a un sorriso. Due foto le fonti: la prima con i "Fichi" Bruno Arena e Max Cavallari insieme a Roberto Benigni, e la seconda con il solo Max mentre spazza, scopa alla mano, i capelli da terra, proprio dietro alle sedie dove si “opera”: «Era qui a farsi un taglio e ha voluto essere immortalato in una mansione "tipica"… Lui e Bruno non mancavano mai, fin dai tempi in cui c’era Renato…».

Ecco: in questa favola un protagonista a un certo punto è uscito di scena. Ma rimane tale, resta un pezzo ineliminabile della storia: «Io e Renato abbiamo aperto nell’ottobre del 1994: all’inizio ero suo dipendente, poi mi ha chiesto di diventare socio. Abbiamo passato 17 anni insieme e non si possono dimenticare. Nel 2008 ha fatto una scelta d’amore e ha seguito sua moglie in Finlandia, a Turku: così le nostre strade si sono separate e sono rimasto da solo. Il ricordo più bello insieme a lui? Sono tanti, ci completavamo».

Senza il suo Robin Hood, Little John Eros ha deciso di diventare egli stesso Robin: «Perché sono rimasto da solo? Perché trovare qualcuno davvero in gamba da mettere in negozio è difficile e poi ormai mi so muovere, conosco i miei spazi, riesco a gestire tutto, è come se avessi preso le misure. E non ho rotture: chi fa da sé, fa per tre».

La scelta ha pagato, perché "el barbee" di piazza Beccaria non ha perso un grammo del suo appeal: «Penso che le persone apprezzino il servizio, l’igiene che ho sempre voluto fosse la mia porta di ingresso e l’atmosfera che si respira in questo negozio. Mi piace creare un ambiente goliardico, divertente per me e per chi entra: la gente arriva stressata dal lavoro e dalla propria vita privata e ritengo che qui si possa rilassare. Non sta andando dal medico, sta andando dal parrucchiere…». E quindi giù di battute, di frizzi e di lazzi, sempre tenendo d’occhio quel grande specchio che dà sulla sala ma anche sul mondo che passa fuori dalla vetrina.

Che poi: medico no, ma psicologo sì: «Ah certo, io ufficialmente faccio due lavori, parrucchiere e psicologo. Dopo il Covid i clienti hanno bisogno anche di un ambiente un po’ intimo e di sfogarsi. Sono qui anche per quello, so che fa parte del mio mestiere. E ho un carattere tale per cui difficilmente non ho voglia di chiacchierare. Cosa mi fa arrabbiare? Solo l’arroganza, ma ho imparato anche a gestirla, con diplomazia».

Con quelle forbici in mano e il suo fare calmo, gentile e rassicurante, Eros ti insegna che il contatto umano è arricchimento («Qui arrivano dai bambini di pochi anni agli anziani: ho la possibilità di conoscere mille punti di vista e di restare con i piedi per terra») e che gli occhi di chi guarda fanno molto del modo di intendere ciò che ci circonda: «Chi ha detto che i varesini sono persone chiuse e fredde? Non è assolutamente così: quando impari a conoscerli, si aprono, ti danno tanto. E prendete Varese: come in tutti i posti, c’è chi ne parla bene e chi ne parla male. Io non posso parlarne male: non sputo nel piatto in cui ho mangiato e continuo a mangiare. Non è vero che questa città una volta era meglio. Secondo me, anzi, sta cambiando in meglio».

Il suo giudizio parte dallo specchio di cui sopra: «Piazza Beccaria e i dintorni sono una zona bellissima e sempre in crescita, almeno da quando sono arrivato. Mi ricordo via Cattaneo nel 1994, c’era ancora l’asfalto, era abbastanza bruttina e soprattutto non esisteva un locale che fosse mezzo. Non sono passate ere geologiche, stiamo parlando di trent’anni fa... Oggi invece è elegante, piena di locali, piena di persone. In questa via, se sai cosa fare, se sei in gamba, puoi avere successo».

Lo stesso che ha avuto lui, restando al passo con i tempi: «I tagli di capelli dei varesini? Quelli classici van sempre bene e a volte restano mode. Prendete la riga in mezzo: ci sono uomini che stanno bene così per la forma del loro viso e allora continueranno sempre a volerli. I ragazzini hanno come modello i calciatori: arrivano e mi chiedono tagli strani, tipo rasati ai lati ma con la frangia. Io, se rischiano di stare male, li avviso, ma poi se insistono li devo accontentare…».

Ridendoci su. E sistemando così ogni cosa: non solo il look, anche l'anima.

Fabio Gandini e Andrea Confalonieri