Quello che conta è divertirsi. Una lezione che viene anche dalla sedicesima edizione del torneo “Don Mario Mascheroni”, organizzato dalla Uc Solbiatese: «È un modo di testimoniare la nostra presenza sul territorio, per far capire che abbiamo voglia di stare e fare sul territorio», spiega la presidente Daniela Greco.
Un torneo a 8 squadre, quello di Solbiate Olona, anche se quest’anno una di loro si è ritirata ed è stato fatto a 7: «Due erano dei nostri 2012, perché ne abbiamo tanti, le altre 5 erano di 2013». E un modo di: «Permettere ai nostri ragazzi di confrontarsi con le realtà titolate del territorio», non per la competitività ma: «Svolto all’insegna del divertimento, che c’è stato e per me è la cosa più importante», racconta Daniela Greco.
Che, appunto per questi motivi, ha sottolineato: «Abbiamo premiato tutte le squadre che hanno partecipato», ma un po’ di competizione, sana, a volte serve e quindi: «Anche il primo marcatore, che era del Como».
Per la Solbiatese questo è un modo: «Di concludere la stagione, un’occasione che ci si aspetta». Ma che ha origini più profonde, che si possono scoprire raccontando chi era don Mario Mascheroni: «Era il sacerdote di Solbiate. Il nostro campo è intestato a lui, perché credeva molto nel valore sociale del calcio, era vicino ai giovani e questo si sposa con la nostra mission: la socializzazione».
Una società che è ormai attiva da 70 anni e che ha dei pensieri ben definiti su quello che lo sport deve trasmettere ai ragazzi. In questi giorni stiamo affrontando con diverse realtà del territorio un dibattito, nato dagli spiacevoli episodi di Cremona (leggi qui): «La nostra società vanta dei genitori molto sportivi. Negli ultimi anni non abbiamo mai avuto episodi di cattivo esempio, ogni tanto il tifo è più vivo ma non offensivo», racconta Daniela.
Che conclude con il suo pensiero: «Si mette tutto da parte per far emergere un individuo ma lo sport di squadra insegna la collaborazione, che servirà a loro quando saranno grandi, nel mondo del lavoro. Il concetto di “team” si impara in famiglia, ma poi si esce dalla zona di confort e lo si impara a scuola e nelle squadre».