Gli odori, i profumi, sono alleati della memoria, a volte della nostalgia, spesso del rimpianto. Portano ricordi di gioventù, segnalano pericoli, evocano sogni perduti, che per un attimo sembrano materializzarsi per pungere nel profondo.
Sono partito presto sabato mattina, ho inforcato la Bianchi per il quotidiano giretto di salute tra centro e immediati dintorni, pochi chilometri per sgranchire gambe e mente, prima di affrontare i guai del giorno, la dura prova del vivere. E mi sono accorto degli odori che manda la città il mattino a buon’ora, quando i gas di scarico delle decine di pullman e macchine sono ancora scarsi, e la poesia del naso recita i suoi versi, acchiappando al volo essenze insolite e inattese.
Ci vorrebbe il Brovelli come compagno di pedale, lui sì che aveva i turbinati sensibili -il giovane Piero Chiara, con lui sul molo di Luino, ne ha raccontato meraviglie, con l’afrore della Giuditta portato dal vento- ma mi devo accontentare dei miei, e accalappiare odori e profumi mentre sono in sella, se i refoli mi saranno amici.
Via Carrobbio. La imbocco e a metà ecco il primo sentore, un misto di straccio bagnato e smacchia pavimenti, il negoziante di formaggi sta pulendo l’ingresso, ma il naso è arrivato prima dell’occhio e mi segnala poi l’inconfondibile profumo del pane fresco, bastoni francesi e integrale di farro, mischiato a qualcosa di più zuccherino, forse uno strudel. Il forno Pigionatti ha la porta aperta, ecco svelato l’arcano.
Pedalo verso la Motta e scendo verso via Bernascone e di colpo l’aria cambia, si ammorba di aliti fognari, forse un tombino malmesso o qualche sacco dell’umido abbandonato, ma subito il naso ritorna a godere perché in via Marcobi c’è un altro fornaio, il Dinoia, aperto pure a Ferragosto, e mentre scatta il verde del semaforo l’odore della semola calda mi fa partire in tromba.
Qui servirebbe il Grenouille di Patrick Süskind, un essere dotato di un olfatto sovrumano e sommo profumiere, per separare l’insieme di essenze volatili che arrivano una dopo l’altra dai parchi delle ville di via Sanvito, via Verdi e XXV Aprile. Colgo l’alito dei fiori di ippocastano, ecco il gelsomino, ma ce n’è un altro che è più lontano, ce l’ho sulla punta…del naso ma non riesco ancora a decifrarlo. Il caprifoglio perbacco! Uno dei più soavi profumi floreali che l’universo conosca, l’adorato chèvrefeuille di d’Annunzio che fa da controcanto al «ginepro irsuto, mirto caloroso, lentisco, terebinto» come corona «dell’Estate ausonia».
Percorro la rotonda di piazza Libertà, imbocco via del Monastero Vecchio e poi via Col di Lana e poco prima dello stop arriva forte il profumo delle rose, mescolato a quello delicatissimo delle peonie, ma dopo qualche pedalata ecco arrivare l’odore pungente del catrame, ci sono lavori in corso in una villa di via Verdi.
La città continua a parlarmi attraverso i sudori del suo corpo e, pur passando veloce per vie e piazze, non smetto di percepirne la complessità degli aromi. Fermo a un semaforo aspiro quello di sigaretta che arriva da chissà dove, nessun pedone è alle viste, ma la brezza fa di questi scherzi e il fumo attraversa il respiro quasi per magia.
Arrivo in via Dandolo, e una delle ultime edicole di Varese mi regala profumi d’altri tempi, la carta dei quotidiani fresca d’inchiostro parla di rotative e notti insonni, mentre quella patinata dei periodici, più dolciastra, ricorda il piacere provato mille volte nell’aprire un libro nuovo e odorarlo a lungo.
«Io non vi so, né voi mi conoscete, ma resta in me se accanto mi passate, tutto il profumo che per via spandete, e il core mio passando vi portate», si cantava nel 1917, e all’incrocio di viale Milano con via Morosini, arriva una forte zaffata di profumo non so se francese, colpevole una signora sui cinquanta bene in carne, molti gioielli e una borsa Vuitton, medio tacco e andatura decisa. La scia la segue per un po’, poi si mescola a un fantastico sentore di caffè che sbuca dal bar Regina. Mi ricorda che devo ancora fare colazione e quindi punto la Bianchi verso casa. Alle nove meno venti c’è già chi in via Maspero sta mettendo su il ragù, alla svolta con via Malta l’aroma è forte, molto speziato, mi sa che dovrà sobbollire parecchio.
Ricovero la bici e un’altra proustiana “madeleine” colpisce il mio olfatto: al chiuso l’odore delle gomme della Bianchi, cambiate da poco, arriva forte, ed è ancora quello che mi accompagnava da bambino quando andavo in Guaralda dal ciclista Rusconi a far cambiare il filo del freno o la camera d’aria.
Un sentore legato al lavoro e alla fatica, mia che pedalavo e sua che armeggiava con chiavi e cacciaviti, ma soprattutto al mondo meraviglioso dell’adolescenza, dove molti odori erano ancora da scoprire e uno dopo l’altro andavano a riempire le caselle della memoria, per ricomparire dopo decenni e farmi commuovere.