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Varese | 30 gennaio 2023, 14:00

Il lago piange uno dei suoi ultimi pescatori. Addio Carlin dul Pizz, hai raggiunto il tuo amato Daniele

Si è spento a 89 anni nella sua casa di Bodio Lomnago Carlo Bossi, uno degli ultimi professionisti della pesca. Nel 2019 morì nel lago il figlio Daniele, anche lui pescatore. Quella tinca donata in segno d'amicizia: «L’ho tirada su stamatina, l’è freschissima, portala a cà»

Carlo Bossi, in secondo piano, con il figlio Daniele prima di una battuta di pesca (foto archivio Chiodetti)

Carlo Bossi, in secondo piano, con il figlio Daniele prima di una battuta di pesca (foto archivio Chiodetti)

Carlo Bossi, detto Carlin dul Pizz, uno degli ultimi pescatori professionisti del lago di Varese, è spirato stanotte nella sua casa di Bodio Lomnago. I funerali si svolgeranno mercoledì alle 14,30 nella chiesa parrocchiale di Bodio Lomnago. La redazione è vicina alla moglie Rita e alla figlia Mariangela.

Il Carlin dul pizz non c’è più, se ne è andato nel sonno questa notte poco dopo l’una, a 89 anni nel suo letto a Bodio, nella casa che lo ha visto partire e tornare migliaia di volte in 66 anni di pesca, in piena notte e il mattino presto, solo o assieme a Daniele, il figlio scomparso nel 2019, due giorni prima di Natale, inghiottito dalle acque.

«Ho incominciato a pescare il 22 febbraio 1948, avevo 14 anni, sum dul ’34, e non ho più smesso. Mio bisnonno era il poer barba dul Pizz, il nonno Celeste mi ha insegnato il mestiere con mio padre Giuseppe», mi aveva detto il Carlo Bossi nel 2005, quando stavo per mandare in stampa “Il lago perduto”, un libro in cui gli ultimi pescatori professionisti del lago di Varese raccontavano la loro vita. Dei nove di allora sono rimasti soltanto Luigi ed Ernesto Giorgetti e Gianfranco Zanetti, anziani e indomiti, figli delle acque che hanno visto mutare assieme ai pesci, da tempo se ne è andato anche l’altro bodiese, il Mosè Bossi, che mi portò sul barchèt di notte «a tirà su i carassi».

«Mio papà ha smesso di pescare nove anni fa, fino a 80 ci è arrivato, poi diceva che gli bruciavano le mani con l’acqua fredda e non ha voluto più uscire in barca. Andava avanti Daniele e lui non smetteva di dargli consigli», dice la figlia Mariangela, chiamata nella notte dalla mamma Rita, nata nella Curt di Biell a Cazzago, perché il Carlin non stava bene. «Era dimagrito molto, faticava a mangiare e a respirare, ma lo spirito c’era eccome».

Caldo freddo estate inverno, il Carlin partiva per il Pizzo di Bodio, e quella volta che lo intervistai mi portò alla Baia del Re, dove tutti facevano il bagno, raccontandomi di quando usciva dal lago apposta per vedere la tappa del Giro d’Italia: «Me piasan i curs in bicicleta, da quand s’eri fiöö, videvi ul Coppi e ‘l Bartali». Lui aveva fatto in tempo a bere l’acqua del lago, metteva una bottiglia sul fondo, legata a uno spago e quando aveva sete la tirava su e dava una sorsata.

Amava le tinche, capiva che erano pesci che ormai non mangiava più nessuno con i piselli, ma volle donarmene una, in segno di amicizia: «L’ho tirada su stamatina, l’è freschissima, portala a cà». C’era tutto il Carlino e la sua generazione in quel «portare a cà», la stessa frase che diceva anche mio padre quando arrivava con qualcosa di buono o di prezioso, la casa come rifugio sicuro della bellezza e del sostentamento, con le cose da tenere da conto.

Con lui se ne va la memoria, con le sue semplici storie di pesca e uomini per i quali il lago è stato qualcosa di vivo con cui confrontarsi, amandolo e a volte odiandolo come si fa con le persone.

«Qualche tempo fa portai mio papà a Cazzago, a incontrare il Negus, Luigi Giorgetti, suo compagno di pesca per decenni. Appena arrivati al porticciolo, papà si avvicinò all’acqua, per capirne la qualità e la pulizia. È uguale a quella di Bodio, gli dissi, ma lui non ne era convinto».

Mario Chiodetti

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