Tanti vincono qualcosa nella vita, pochi regalano emozioni. Parecchi arrivano in alto, tra fama e milioni, ma si contano sulle dita quelli che restano nel cuore della gente, magari alzandosi ogni mattina per fare il loro lavoro e poi trasformandosi ogni sera in Mastini. Ecco, qui siamo di fronte a uomini comuni che ogni notte diventano supereroi di una città, di una fede, di "un altro" e non di se stessi, per poi tornare alla vita di tutti giorni.
A distanza di 48 ore abbiamo provato a riavvicinarci al palaghiaccio di via Albani e soltanto la sagoma della curva ci ha provocato un groppo in gola.
Non piangiamo facilmente e ci teniamo tutto dentro. L'ultima volta è stata la sera dell'editoriale con cui abbiamo detto addio a "La Provincia di Varese", piegati sul computer, singhiozzanti, inconsolabili perché undici anni di vita in quel giornale erano volati via in un attimo («Vi licenzio perché così è meglio per voi» l'ingiustificabile giustificazione) ma, soprattutto, perché nel profondo sapevamo che quando si strappa il cuore a qualcosa, e il nostro cuore era la famiglia di amici con cui avevamo lavorato fino a quel giorno, si può solo sopravvivere ma non vivere a lungo. Quel cuore che non è mai stato tolto ai Mastini, dove nessuno ha mai fatto a meno di un Fiori o di un Ferrario o di un Mordenti perché, spezzando un filo invisibile, il passato e il futuro chi li tiene assieme?
La penultima quando il Varese venne promosso in serie B. Ci eravamo appostati in piedi dietro la rete sotto la tribuna del Franco Ossola, da dove non si vede nulla, due ore prima della finale con la Cremonese, barba lunga, stessa maglietta di Parabiago da cui eravamo partiti in Eccellenza, stessi amici-colleghi-fratelli con cui eravamo arrivati fin lì, stesse lacrime verso quel padre e quell'amico che ci avevano accompagnato a vedere la prima partita della nostra vita, 2-2 contro l'Udinese in Coppa Italia (Strappa-Zico-Causio-Mattei), stesso sentimento: soli e invisibili contro tutti ma se i "soli" ci credono o hanno dentro qualcosa, magari pure un tantino di bravura, battono "tutti".
Non abbiamo ancora pianto né brindato per quello che è successo: lo faremo ma non ora che è ancora troppo bello godere della felicità degli altri, raccogliere le lacrime di chi si commuove, solleticare un ricordo, carpire un'emozione, partecipare complici a una sofferenza, fomentare una follia, scavare a caccia di un aneddoto, attendere la rivelazione di un segreto sempre che uno ci sia.
Quelli che noi abbiamo trovato sono racchiusi in una fotografia e in altri rapporti molto personali in quest'impresa dove tutti sentiamo di avere messo in gioco qualcosa di noi.
Nella fotografia, scattata la sera in cui una moltitudine giallonera si è riversata sul ghiaccio sfogando sofferenze, esili, anonimato e 27 anni senza trionfi, c'è un piccolo grande tifoso dei Mastini rimasto da solo sull'ultimo seggiolino dell'ultima fila della curva, immobile a rimirare il ghiaccio. Lassù, isolato dopo aver partecipato a mille battaglie in casa e in trasferta per la "sua" squadra, Roberto non aveva bisogno di esultare, piangere, abbracciarsi, godere per dimostrare qualcosa.
In quell'angolo minuscolo eppure enorme aveva già tutto ciò che è l'essenza della gioia e della vita: il piacere di esserci sempre stato, e di averlo fatto per i Mastini. C'è qualcosa di più grande in una "presenza" che non chiede nulla per sé, dopo aver dato tutto, ma anzi si mette in disparte a vedere la felicità di quel mondo che ha sempre difeso, anche quando erano in pochi a farlo, e sognato?
Quel puntino in curva è il simbolo di una squadra e di una tifoseria fatta da tanti "puntini", a volte addirittura dalle "virgole", che vogliono solo rimanere puntini e virgole purché la storia arrivi all'ultima pagina e al titolo che, per noi e per sempre, sarà "ventisette". Questa è la forza dei Mastini. Un puntino per tutti, tutti i puntini per uno.
Non è mai facile parlare di giornalisti in un'era dove i giornalisti sono spesso considerati "terroristi", come canta qualcuno, eppure stavolta lo facciamo. Se in campo c'è una squadra e in curva ce n'è un'altra, anche noi ne abbiamo avuta una in questi anni ed è composta da Matteo Floccari, Matteo Carraro, Max Airoldi e Stefano Battara. Fosse mancato anche soltanto uno di loro, ogni sera a Milano, a Como o in via Albani non sarebbe stata la stessa cosa. Non ci avremmo creduto e non avremmo sofferto-lottato-urlato con loro e per loro.
C'è poi il primo messaggio arrivato dopo il gol di Franchini a 3 secondi dalla fine e la sirena che ha riportato in porto la nave giallonera dopo 27 anni: "Grazie". In un mondo dove le vittorie, come le vie e le piazze, sono sempre da intitolare a un singolo invece che a un concetto o a un'idea, stavolta ce n'è una che è davvero di tutti. Perché tutti, da sabato notte, dicono "grazie" a qualcun altro per ciò che è successo. Eppure non riusciamo ancora a piangere...
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Hockey | 25 gennaio 2023, 08:56
IL SEGRETO DEI MASTINI. Un "puntino" per tutti e tutti i "puntini" per uno. In tanti vincono, voi regalate emozioni
Una Coppa Italia si trasforma in un Mondiale per il popolo giallonero perché qui anche una "virgola" è stata scritta e le lacrime sono state versate per gli altri, mai per se stessi. Quello storico tifoso sull'ultimo seggiolino immobile dopo il trionfo ne è l'emblema: non aveva bisogno di esultare, piangere, abbracciarsi o godere per dimostrare qualcosa. Tutti dicono "grazie" e godono nel vedere felici i compagni in pista o sugli spalti

Il mondo è impazzito eppure un "puntino" giallonero presente su ogni pista rimane da solo in curva a vivere la festa. Perché è troppo bello godere della gioia di tutti per i Mastini in trionfo dopo 27 anni
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