Già detenuto per un’altra causa, ora dovrà scontare una ulteriore condanna a 2 anni e 2 mesi per estorsione. E’ quanto hanno stabilito i giudici del Tribunale di Varese in merito alla posizione di un ragazzo di 23 anni (assolto un coetaneo, coimputato ma per furto) rispetto a un fatto avvenuto nel 2019 in un giardino pubblico del centro della città.
Un fatto semplice nella sua dinamica, ha sottolineato il pubblico ministero nel chiedere le condanne degli imputati, a fronte di «un’istruttoria ampia che ha confermato la fondatezza delle accuse». I due ragazzi quel giorno si avvicinarono ad un conoscente, e uno dei due chiese in prestito lo smartphone per fare una chiamata. Poi il telefono passò rapidamente nelle mani del “socio” e arrivò l’avvertimento, di questo tenore: dacci 300 euro oppure il telefono non lo vedi più.
Si trattava di uno smartphone all’epoca appena messo in commercio e dunque particolarmente costoso, ha specificato nella sua requisitoria il pm, aggiungendo che oggigiorno lo smartphone «rappresenta la nostra identità, contiene tutti i nostri dati sensibili, oltre che documenti personali e applicazioni bancarie. La sottrazione di questo apparecchio crea dunque un grosso danno, cui corrisponde un reato importante».
Alla fine la vittima, secondo la ricostruzione messa a fuoco durante il processo, consegnò ai due tutti i soldi che aveva con sé, circa 60 euro, per riavere il cellulare, e successivamente si recò dalla polizia. «Il ragazzo aveva detto alle forze dell’ordine di essersi recato da loro perché era arrabbiato - ha evidenziato uno dei due avvocati della difesa nel chiedere l’assoluzione del suo assistito - ma poi si rese conto che con la restituzione del telefono la vicenda per lui si era chiusa, tanto che non denunciò». Una storia dunque che andava ridimensionata, secondo la tesi difensiva, a partire dal capo d’imputazione: «Non ci fu violenza, niente minacce. Non si può parlare di estorsione».
Solo uno dei due imputati ha assistito in aula alla conclusione del processo. E prima del verdetto si è rivolto al collegio per delle spontanee dichiarazioni: «In carcere ho ottenuto un diploma di falegnameria, lavoro come addetto alle pulizie, mi sono iscritto a diversi corsi. Sto cercando in tutti i modi di recuperare. Per avere qualcosa in mano quando uscirò».