Attenzioni continue, non richieste e soprattutto non gradite, con battibecchi che hanno luogo di frequente sul posto di lavoro, talvolta in presenza dei colleghi, per i quali a un certo punto diventa chiaro che qualcosa non va. Fino a quando gli stessi colleghi vengono in parte coinvolti nella vicenda, che risale a diversi anni fa - tra il 2016 e il 2017 - e che oggi è al centro di un processo per stalking in corso in Tribunale a Varese.
L’imputato è un uomo classe 1967, all’epoca dei fatti dipendente del Pubblico Registro Automobilistico, al pari della persona offesa, una donna che si è costituita parte civile nel procedimento. Era lei, secondo le accuse, a subire ripetutamente gli atti persecutori dell’odierno imputato; atti che avevano ripercussioni tanto sulla vita lavorativa quanto su quella privata.
«Lei è una donna dal carattere forte, ma riservata», ha affermato durante l’ultima udienza una testimone, a sua volta dipendente del PRA, descrivendo davanti al giudice la persona offesa. Ma nonostante la sua riservatezza alla fine le cose sono venute a galla, anche perché era stata la stessa persona offesa a chiedere il supporto delle colleghe per uscire da situazioni imbarazzanti o per non trovarsi da sola in determinate circostanze che sono parte della quotidianità di chi condivide un ambiente di lavoro con altre persone, e che generalmente non creano preoccupazioni.
Come le volte in cui si recava in bagno chiedendo ad una delle colleghe di aspettare sulla porta, per non trovarsi sorprese. O quel giorno in cui si rivolse nuovamente a chi lavorava con lei perché la moglie dell’uomo oggi a processo aveva bloccato con la macchina la rampa d’uscita dal parcheggio dell’ufficio. E a quel punto - a fine giornata - le colleghe si misero in coda in tre per lasciare l’area, ognuna con la propria auto, costringendo così quella persona - che in altre occasioni si era vista anche in ufficio insieme al marito - a togliersi di torno. O ancora quel giorno in cui la donna chiese supporto per scendere in archivio. Non voleva spostarsi da sola. L’uomo - ha raccontato in aula la dipendente che l’aveva accompagnata, riferendosi in questo caso all’imputato - arrivò spalancando la porta, salvo poi girare i tacchi dopo averle viste.
«Non aveva motivo di presentarsi lì - ha aggiunto la testimone - e comunque i suoi atteggiamenti mi sembravano poco consoni all’ambiente lavorativo». Tra questi, l’abitudine di canticchiare in presenza delle colleghe, soprattutto della donna che finiva puntualmente al centro della sua attenzione, pur svolgendo mansioni diverse dalle sue, per di più su un differente piano dell’edificio dove lavoravano.
Le colleghe della persona offesa, sempre in udienza, hanno ricordato anche episodi più gravi, rifacendosi in parte alle confidenze della diretta interessata: scorribande sotto casa con lancio di sacchi della spazzatura, incontri “casuali” tra le corsie del supermercato, spinte nel corso di discussioni particolarmente accese e persino morsi e sputi.
«I loro dissidi erano cosa nota tra noi», ha sottolineato in conclusione un’ultima dipendente dell’ufficio, rispondendo alle domande delle parti e facendo riferimento alle classiche “voci di corridoio” - pur senza aggiungere dettagli sull’origine e sulla natura di quel rapporto conflittuale - seguite dalle già citate confidenze, dai diverbi, dal girovagare di lui tra le postazioni che nulla avevano a che fare con le sue mansioni, e dall’insofferenza di lei per quegli incontri di routine. Fino ad arrivare alla visita della polizia, e alle prime domande rivolte dagli agenti ai colleghi della donna.