In mezzo al prato del campo principale siamo circondati da 300 ragazzini, una cinquantina tra istruttori e staff (si sale a quota 70 se si includono le persone con varie mansioni), campo in sintetico - che presto verrà ristrutturato - e altri in erba dove c'erano sabbia e boschi, mentre un nugolo di giovani corre sulla pista d'atletica: al centro di tutto le idee, la passione e la genuinità di un patron come non ne incontravamo da tempo, accanto a un uomo di calcio competente e altrettanto appassionato come Giorgio Scapini.
Basta guardare fuori dal proprio orticello e saper ascoltare per capire che un altro calcio è ancora possibile, partendo dalle persone e da ciò che hanno dentro. Un calcio dove si sente ancora dire, come fa Massimo Foghinazzi, gaviratese, 55 anni, al settimo anno da presidente del Gavirate che «i soldi prima di tutto vanno investiti nelle strutture, negli uomini della società e nelle idee, poi nel resto. Gli imprenditori del territorio non vanno coinvolti attraverso un cartellone al campo ma in un progetto che è soprattutto sociale e di crescita». O che «essere l'unica Academy scelta dalla Juventus in Lombardia permette a questi 300 giovani di allenarsi e giocare con la maglia bianconera - grazie anche al lavoro e alla vicinanza di Giorgio Scapini - e rappresenta un'unicità, ma a essere unica è anche l'ambizione che c'è dietro». Vediamo quale.
Pensiamo ai 300 bambini e ragazzi del vivaio: qual è la prima cosa che vorrebbe per loro, presidente Foghinazzi?
La possibilità di arrivare al 100% delle loro potenzialità, ma con un distinguo: se questo 100% sarà il professionismo nella Juve, la nostra prima squadra in Eccellenza o la terza categoria, sarà ottenuto attraverso una crescita corretta e l'insegnamento etico ed educativo. Vorrei che raggiungessero il loro sogno, accompagnandoli alle regole della vita: imparare a stare con gli altri, aiutarsi e aiutare, rispettare le persone e l'ambiente. La vittoria sul campo è un punto di domanda perché possiamo avere di fronte sfortuna o ragazzi più bravi, ma prima e dopo la partita dobbiamo e possiamo vincere. Con educazione e rispetto. Dalla prima squadra ai ragazzi del settore giovanile, per cominciare tutti devono lasciare spogliatoi puliti e in ordine uscendo dai campi avversari.
Dall'incontro con la Juventus non è nato un settore giovanile puramente "commerciale": alla base, allora, cosa c'è?
Loro hanno ambizioni diverse dalle nostre in ambito sportivo, cercano ovviamente bravi calciatori e altrettanto bravi ragazzi della nostra provincia, ma dal punto di vista educativo l'ambizione è la stessa. Siamo l'unica Juventus Academy in Lombardia, una delle undici in Italia, ma alla base dell'accordo con uno dei marchi più conosciuti al mondo c'è l'investimento nella formazione dei ragazzi e degli istruttori che li devono fare crescere. Qui non abbiamo una scuola calcio commerciale mantenuta dalla vendita del kit o dall'affiliazione perché è la Juventus che investe, avendoci innanzitutto affiancato una persona del calibro di Giorgio Scapini che non ha bisogno di presentazioni.
Il primo pilastro su cui costruire una società di calcio a sua avviso qual è?
Quando ho iniziato c'erano 60 ragazzi, oggi sono 300 e magari domani saranno 400. Prima di tutto vengono le infrastrutture e, da questo punto di vista, ogni anno cresciamo. C'è un campo centrale dove giocano prima squadra e Juniores, poi un campo a 7 dove c'era un bosco e, da quest'anno, un campo in erba a 11 che fino a giugno era in sabbia. Più spogliatoi e servizi nuovi, come l'impianto di illuminazione. E il sintetico, datato 2006, verrà rifatto.
E il secondo pilastro?
Le risorse umane, competenti e preparate: abbiamo una filiera di istruttori laureati e laureandi in scienze motorie. La parte motoria è fondamentale per superare la vita sedentaria di un bambino: alla mia età si giocava nei prati e si faceva ancora educazione fisica a scuola, oggi queste cose le devi insegnare qui. Se perdi i primi anni di questa crescita, magari seguita da persone senza competenze o basata su scelte comode, precludi ai più piccoli di poter raggiungere un sogno, qualunque esso sia.
Quando è iniziata la sua avventura da presidente?
Quando mio figlio, che giocava a calcio a Gavirate, ha deciso di smettere dopo la Juniores: in quel momento sono entrato in gioco e in società visto che il presidente Papa non aveva più l'entusiasmo di rilanciare dopo 13 anni di guida ininterrotta. Ho acquisito il club con un socio, iniziando questo percorso fatto di passione, cuore e voglia di crescere.
Cuore gaviratese e bianconero, ma non solo...
Nel mio cuore c'è il Varese perché a 5 anni andavo già al Franco Ossola insieme ai miei genitori. Era il Varese degli anni Settanta con Della Corna, Valmassoi, Andena, Prato, Gorin, Borghi, Fusaro... Ma andavo anche negli anni Ottanta: indimenticabili Rampulla, Vincenzi, Braghin, Strappa, Cecilli, Cerantola, Turchetta, Bongiorni...
Gaviratese doc come ce ne sono pochi: ci spieghi perché.
In pochi sono davvero nati a Gavirate perché ci sono gli ospedali di Cittiglio, Luino, Varese... invece io ho avuto la fortuna di farlo proprio qui, 55 anni fa. Questa cosa la sento veramente mia: magari a volte vado a vedere qualche partita e mi scaldo, dico una parolina di troppo ma poi penso a ciò che dico ai genitori: "Tu hai un figlio che gioca, quando vai a vederlo devi dargli l'esempio". Ecco: io vado a vedere la partita e ho 11 figli in campo, quelli in panchina e altri 300 nel settore giovanile.
Il rapporto con un Comune, nel 2022, è fondamentale per qualunque società sportiva, soprattutto se ambiziosa: il vostro com'è?
Ottimo e basato sul confronto. Quest'anno l'amministrazione ha speso 100 mila euro per la nuova illuminazione (l'anno scorso era toccato a quella del campo sintetico) dopo che sono stati rifatti anche gli spogliatoi, ovviamente colorati di rossoblù. Come noi investiamo ogni anno nelle infrastrutture, così il Comune fa la sua parte.
Abbiamo da rifare il sintetico, che è stato uno dei primi in zona ed è del 2006, e l'amministrazione sta portando avanti un bando: credo che con l'anno nuovo possa andare in porto.
Dalla Varesina alla Solbiatese: qual è il rapporto con gli altri vivai importanti della provincia?
Stanno facendo un ottimo lavoro e a dirlo non sono io, ma i fatti: guardate la Varesina, con cui abbiamo un ottimo rapporto. Anche la Solbiatese da qualche anno sta lavorando molto bene, ma noi facciamo il nostro: la concorrenza è solo benzina che aiuta ad andare più forte, se hai le idee chiare. Noi abbiamo una nostra peculiarità, ed è il marchio Juventus.
Il matrimonio con la Juventus come è nato?
Per fortuna e per un'esigenza. È iniziato tutto nel 2017 allo Juventus Stadium, durante una partita: ho incontrato un dirigente che era interessato a un progetto in provincia di Varese e da lì è nato il nostro rapporto. Per quasi tre anni i tecnici bianconeri ci hanno "osservato", poi il fidanzamento è sbocciato in matrimonio.
Ci racconta la sua attività imprenditoriale?
Lavoro nell'ambito dell'automotive. Ho iniziato a 21 anni aprendo una carrozzeria, nei primi anni Duemila ho creato un marchio e un network nel settore operativo in tutta Italia e nel 2019 ho ceduto a una multinazionale inglese, diversificando i miei investimenti.
Più importante la prima squadra o il settore giovanile?
Non puoi pensare alla prima squadra se prima non fai crescere il settore giovanile. Eravamo in Promozione e ci siamo dati 5 anni per salire in Eccellenza: avremmo potuto farlo il primo anno, ma abbiamo preferito investire quei soldi nelle strutture, altrimenti oggi non avremmo nulla di ciò che vedete. Avere la prima squadra e dietro il vuoto non porta a nulla: dal nostro settore giovanile 3-4 elementi vanno ad alimentare la prima squadra ogni anno, altri passano alla Juventus o giocano in altre categorie perché abbiamo investito per anni nel vivaio.
A Gavirate siete avanti anche per quanto riguarda l'attività femminile.
Stiamo investendo tanto in questo ambito: avevamo anche una prima squadra che, però, ci precludeva un po' la crescita del vivaio, quindi ci siamo accordati con il Città di Varese: noi abbiamo rinunciato alla prima squadra e loro al settore giovanile, che curiamo grazie a istruttrici qualificate. I più piccoli sono seguiti da Rosaria Parisi, i pulcini da Isabella Castelli e la parte agonistica da Stefania Maffioli. La prima ragazzina uscita dal nostro vivaio, Chiara Robustellini, gioca nell'Inter e in nazionale.
Il segreto di un club sono le persone: ci fa qualche esempio.
Il vicepresidente Vincenzo Elia è succeduto a Emilio Felli, l'ex socio che nei precedenti 4 anni ha svolto un lavoro importante, e mi dà una gran mano negli aspetti societari. Uno dei nostri motori è Fabio Fumagalli, il direttore generale che è qui da 18 anni e vive per Gavirate. C'è la parte di segreteria con Mauro Ghiringhelli, insostituibile come Concetta Balducci. Da quest'anno ci sono figure nuove come Emanuele Prina, che si occupa della comunicazione, e Stefania Limonta del marketing.
A proposito, come si fa marketing a Gavirate?
Non chiedendo assolutamente a imprenditori o commercianti di esporre uno striscione, ma presentando loro un progetto di crescita sociale e favorendo i rapporti. Qui ci sono 300 ragazzini che devono diventare grandi e chi aiuta il Gavirate sa di essere parte attiva di questa loro crescita che va oltre il campo.
Con la prima squadra state soffrendo...
Siamo in un momento un po' buio: ci chiuderemo dentro una stanza per capire cosa non va e come uscirne, cercando di non attaccarci ad alibi. Va trovata la quadra affrontando partita per partita: dai momenti difficili si esce assieme.