Alla fine, a Duemilalibiri, la guerra si mostra per quello che è nel concreto. Nei video che Fausto Biloslavo (inviato de “Il Giornale”, autore di “Ucraina. Nell’inferno dell’ultima guerra d’Europa”) ci sono l'angoscia e la determinazione dei civili ucraini, rintanati in bunker che assomigliano a caverne. Ci sono le macerie lasciate dall’artiglieria. E le sepolture improvvisate. Ci sono i cadaveri dei russi. “Soldati bambini”, li definisce il cronista. Collegato dalle zone di guerra, Lorenzo Cremonesi (Corriere della sera, “Guerra infinita”). Porta un messaggio scomodo: «Siamo infastiditi, c’è sbalordimento in gran parte delle opinioni pubbliche occidentali per l’atteggiamento di Zelensky, del presidente ucraino. Gli Stati Uniti gli hanno offerto la fuga: ti prendiamo e ti portiamo via, crei un governo in esilio, organizzi una resistenza. La sua risposta: no, piuttosto muoio qui. Si è generata una resistenza corale che ci dà fastidio. Noi oggi pensiamo che la violenza non ci appartenga, ci dimentichiamo di quanto la guerra abbia influito sulle nostre generazioni. La guerra era parte fondativa dell’Italia, entrava nelle nostre università. Oggi, in Ucraina, chi sta difendendo la libertà e la democrazia sono americani e inglesi, il resto sono noccioline».
Altrettanto pesante il messaggio di Biloslavo: «Non avrei mai immaginato una guerra di questo genere, nel cuore dell’Europa. Una guerra convenzionale, fra eserciti. Gli ucraini sono gente come noi, non di paesi lontani. Mi hanno colpito le evacuazioni, la gente fuggiva con gli anziani nel carrello della spesa, sotto la neve. I ragazzini di notte andavano nei bunker delle scuole, cellulare in mano per capire se c’erano bombardamenti. All’inizio si pensava che i russi sarebbero entrati come il coltello nel burro, lo pensavano anche gli osservatori Ocse che erano lì da anni. È stato sorprendente vedere ragazzi costruire barricate con i sacchi di sabbia e preparare le molotov. Poi, ovviamente, la resistenza è stata rafforzata dalle armi occidentali. Penso sia giusto aiutarli. Certo questo aiuto deve avere un fine, uno scopo. Questa guerra potrebbe durare anche per dieci anni. Siamo pronti a una guerra così? Io no. Calcolo, per difetto, che i caduti dei primi 6 mesi siano 30.000, 5.000 quelli civili. Negli otto anni precedenti ce ne sono stati 14.000. Dove andremo a finire? Dobbiamo trovare una via d’uscita».
«Perché rischiare e andare a raccontare la guerra?» chiede il moderatore, Matteo Carnieletto. Cremonesi: «Ricordo, altrove, la battaglia per Misurata. Arriviamo al porto di Sirte e cosa c’è? Una scritta dei fondamentalisti: “Da qui conquisteremo Roma”. Miravano all’Europa. E noi italiani che cosa abbiamo fatto? Un ospedale che non serviva. Perché vado a raccontare le guerre? Non vorrei mai partire ma quando uno inizia a seguire un conflitto vuole capire, si arrabbia, e io voglio che altri capiscano. I nostri nonni hanno creato la Repubblica combattendo. La pace è fondamentale. Ma dobbiamo capire che la guerra è parte del nostro mondo, oltre che della nostra storia».
Biloslavo: «Volevo girare il mondo, cercavo l’avventura. Lo ricordate Vasco Rossi che arriva ultimo o penultimo a San Remo con “Vita spericolata”? Per me divenne una specie di motto. Sono partito per raccontare un mondo diverso, quello della guerra fredda. Scoprendo, fin dai primi conflitti, che non c’erano il bianco e il nero, ma mille sfumature. Anche in Ucraina è così. Raccontare questo è passione. Voglio essere un testimone di piccole storie che riflettono la grande storia. Si cerca di andare in profondità. Si cercano le sfumature e si raccontano».
Proiezione di un video. Biloslavo è con soldati ucraini, praticamente in prima linea. Lanciano una monetina. Devono raggiungere una postazione e sono pressoché certi che i primi cinque cadranno. L’inviato è incerto sul da farsi. Alla fine decide di allontanarsi dal fronte. Riceve l’applauso dei militari: «Devi tornare e raccontare come vanno le cose». Lui mantiene la promessa. Chiama i primi cinque “i morituri”.