La voce dell’architetto Richino Castiglioni, padre – anche - dei lampioni rimossi dal Comune e ora voluti di nuovo in centro dalla Sovrintendenza: è una voce che si sente e si vede, nel primo caso attraverso il figlio Stefano e nel secondo attraverso la sua relazione del 22 dicembre di trent’anni fa.
Nove pagine dattiloscritte, a cui si affiancano gli schizzi da lui vergati. A memoria, perché lui guardava, esaminava, poi tornava a tracciare quelle linee in cui il cuore di Busto rivelava la sua anima. E così ideava le luci, in cui far “recitare” la città.
Anche con questi fogli tra le mani, l’architetto Stefano Castiglioni si rivolge dopo mesi delicati alla giunta Antonelli: «La ricollocazione delle lampade in queste due piazze e nei due brevi raccordi avrebbe un significato di dialogo e attenzione alla comunità, che si è sentita defraudata». Non c'è polemica, non c'è voglia di scontro: solo il desiderio di unire gli sforzi per ciò che conta, Busto Arsizio e la sua identità, che sta a cuore a tutti.
Ascoltando Richino
È noto ciò che si sono detti il Comune e la Sovrintendenza, prima ancora ciò che aveva rimarcato lo stesso Stefano. Fu il figlio di Richino Castiglioni a scrivere il 17 giugno a Palazzo Gilardoni, quando apprese l’intenzione di sostituire le lampade progettate dal padre con la nuova illuminazione, scelta per l’intera città.
Quattro giorni dopo, la risposta dell'ente che si appellava alle «normative attuali» e alle «cattive condizioni manutentive, oltre a problematiche, non trascurabili, relative al risparmio energetico». Quindi l’intervento della Sovrintendenza, tornata sul tema dopo le segnalazioni, che chiedeva il ripristino delle installazioni nelle piazze San Giovanni, Santa Maria e nelle vie Sant’Antonio e Cavour. L’amministrazione comunale, allarmata anche per l’aspetto economico, si è rivolta al proprio ufficio legale. In mezzo, le proteste non solo della categoria – vedi l’Ordine degli architetti della provincia di Varese -, ma di molti cittadini: quelli che si sono rivolti ai media, ma anche al figlio di Richino, con mail e messaggi.
«Costa meno un intervento di ripristino di una vertenza amministrativa – osserva l’architetto – Solo i costi della manodopera, poiché hanno conservato le lampade. E sarebbe un gesto di incontro e dialogo con la popolazione». Oltre che di rispetto verso un personaggio autorevole nella storia del nostro Paese. Verso il professionista e uomo di cultura, il bustocco che amava la sua città, e che la “ritraeva” nei suoi schizzi essenziali, eppure con un’anima. Come l’anima, oltre che la competenza, mise l’architetto Richino Castiglioni nella sua relazione.
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La possiamo scomporre in due parti: una più generale e ricca di osservazioni sulle piazze della “Busto che lavora” ma che si dà appuntamento lì al tal giorno e alla tale ora, l’altra concentrata sull’illuminazione. Quest’ultima parte da alcune annotazioni preliminari: «L’ambiente composito e disuguale che ha assunto connotazioni di “locus” nell’intorno di due insigni monumenti del tempio di Santa Maria e di San Giovanni Battista – scrive appunto nel dicembre 1992 – suggerisce di evitare non solo gli stampi equivoci dei lampioni ottocenteschi ma anche le apparecchiature afferenti situazioni di una generica scontata modernità».
I due monumenti e la giusta evidenza
No dunque al “passatismo”, ma anche all’omologazione, alla cancellazione di identità. Dietro c’è uno studio delle diverse figure di lampioni e dei loro supporti. E ancora, una riflessione che si posa come una carezza sulle due chiese, luoghi di fede ma anche monumenti di Busto Arsizio con caratteristiche che vanno messe «in giusta evidenza». Quindi, l’attenzione dettagliata al corpo luminoso, alla lampada e alla calotta-diffusore sovrastante, un “insieme” che scandisce l’immagine sia di giorno sia di notte; lo studio dei gradi di trasparenza il richiamo costante al santuario e alla basilica, «insigni monumenti, con le altre minori costruzioni valevoli nell’intorno».
Aveva pensato a tutto, l’architetto Richino Castiglioni, nella sua Busto Arsizio che, dopo varie metamorfosi, negli anni Novanta intendeva «mediante le pavimentazioni e il nuovo dispositivo di illuminazione… scandire spazi di ritrovo e di incontri, idonei alle funzioni vitali di una “piazza” nel senso autentico; luoghi di incontri, di mercati, di intrattenimenti per mostre all’aperto, concerti e rappresentazioni; estensione all’esterno di ristorazione e convegno atti a suscitare momenti di vita accomunata».
Luce e pavimentazione erano appunto un progetto intrecciato, così si sopraelevò anche il centro della piazza Santa Maria per rimandare «ad antiche e festose immagini e consuetudini» o si pensò allo spazio davanti alla basilica come «percorso delle processioni rituali nelle festività di ricorrenza».
Ieri come oggi
Infine, alcune frasi sul cambiamento in arrivo, e anche osteggiato, rappresentano un ritratto di un’epoca e di estrema attualità allo stesso tempo: «Chi si allarma contro l’ipotesi del nucleo antico frequentato e vissuto nella misura della persona, esprime un conformismo ambiguo: teme l’alterazione di un contesto che garantisce anonimato ed estraneazione; la perdita del privilegio dello shopping con la vettura davanti al negozio, dell’auto attuale indiscussa protagonista degli spazi pubblici centrali. La prospettiva della nuova, vivace e abituale frequentazione personale del vecchio centro (che costituisce il tema e l’obiettivo dell’attuale operazione di arredo urbano) sembra riaccendere polemiche e passioni non sopite che a suo tempo invalidarono i progetti e le ipotesi di “isola” pedonale, che a Busto non è mai riuscita a decollare».
L’operazione di trent’anni fa, ribadisce Richino Castiglioni, voleva ridare vitalità nuova a un centro storico decaduto. Basta con le piazze parcheggio. Come catturano le ultime parole usate dall’architetto, le caratteristiche richieste per procedere su Busto: «Studio e disponibilità, cultura e riflessione». Di fronte a ciò che sta accadendo oggi – a partire dal dibattito sull’estensione della pedonalizzazione - è come se Richino Castiglioni parlasse trent’anni dopo. E in fondo quei quattro elementi sopra menzionati, sono chiesti oggi in altro modo da suo figlio Stefano, per risolvere la diatriba. Lui non nasconde che ha visto i lampioni inseriti a Busto quest’estate, «anche a Galliate e a Napoli… l’idea che debbano restare queste lampade omologanti, mi rattrista profondamente». Perché il cuore di Busto fu pensato con quell’identità, trasmessa anche dalle luci.