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Economia | 22 settembre 2022, 08:30

FOTO E VIDEO. Un orso che è diventato maggiorenne: tutti pazzi per la birra made in Busto

Dall'inizio in un capannone al recente trasferimento negli stabilimenti dell'ex Coca Cola: «Abbiamo cominciato per passione in casa, non c'è un segreto»

FOTO E VIDEO. Un orso che è diventato maggiorenne: tutti pazzi per la birra made in Busto

Dalla birra fatta in casa a una produzione nell’ex stabilimento della Coca Cola a Busto Arsizio: nel mezzo la fondamentale tappa di un piccolo capannone di via Petrarca. Era tutto iniziato per passione, e quella è rimasta ben salda in Cesare Gualdoni, il fondatore, e i soci Paolo Bennici, Andrea Rogora e Christian Conti. Anche oggi che la produzione è raddoppiata.

Indomita avventura

Cesare è il “papà”, quello che partì appunto con il primo capannone e il marchio L'Orso Verde. Oggi il rebranding mostra la sigla O.V., accompagnata da una promessa scolpita nel tempo: “indomita dal 2004”.

Già, perché questa birra è diventata maggiorenne, ma rimane la filosofia originaria: rigorosamente artigianale, non filtrata e non pastorizzata, senza conservanti.«Chi l’avrebbe detto che saremmo arrivati qui – dice Gualdoni- ma così è stato, passo dopo passo. Accanto alla passione tanta applicazione». Conferma Andrea Rogora: «Siamo tutti partiti da fare la birra in casa».

In via Magenta 55, la svolta che significa ormai da oltre un anno l’ampliamento, ma anche investimento dal punto di vista tecnologico. Non è stato facile attraversare il periodo tempestoso del Covid, eppure anche quello è stato “domato” come un’occasione per crescere e attrezzarsi per il futuro. Entrare nello stabilimento che era un mito per la città, non è stato privo di emozione.

Un capannone che racconta la lungimiranza di quei tempi: costruito negli anni Cinquanta, offre un’acustica che colpisce e mostra una bellezza che avvolge. Gli impianti, ovviamente, sono stati rifatti considerando che la produzione si era fermata negli anni Novanta. O.V. ha dunque allestito e gestito gli spazi in maniera funzionale alle esigenze attuali. La tecnologia permette il controllo da remoto, ma è il fattore umano che resta il carattere distintivo.

Andrea Rogora è il mastro birraio e ci conduce prima ai mulini, tra le tramogge, poi agli impianti. «I cereali macinati, vengono quindi miscelati con acqua calda per far lavorare gli enzimi creati durante la maltazione – spiega – trasformiamo la parte interna del chicco, quella bianca, gli amidi in zuccheri che servono per la fermentazione. Una fase di due ore». Poi si trasferisce il tutto in un altro tino, le temperature incidono sulla complessità degli zuccheri e dunque sul corpo della birra.

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Terminata la fase dell’ammostamento, ecco in azione il tino per separare la parte solida da quella liquida: c’è già aria di feste natalizie, infatti si è in azione per la birra di Natale, ancora top secret. Unici indizi, ambrata e 8,8 gradi.

L’economia circolare è l’altro filo conduttore: le trebbie scartate vengono consegnate a un’azienda agricola della zona di Oleggio per le vacche. Inoltre attenzione massima ai contenitori: prediletto l’acciaio, «che è eterno», tranne alcuni casi con la plastica, comunque con un ragionamento ambientalistico al centro negli spostamenti.

Tornando alla produzione della birra, ecco il tino di bollitura, con la terza fase che può durare sessanta-novanta minuti in base alla ricetta. Quindi il tino Whirpool per separare luppolo e impurità create durante la bollitura. Ed ecco la fermentazione, con la produzione di alcol e CO2, quest’ultima viene poi espulsa.  Per dare un’idea di tempo: il mosto richiede 8 ore, una giornata di lavoro. Ma da lì fino al confezionamento della birra trascorre almeno un mese.  Anche se appunto con il cellulare si può controllare il macchinario, è l’occhio del mastro birraio che decreta l’esito positivo.

Il vero segreto

O.V. è passata da 2mila ettolitri della vecchia sede ai 4.500 stimati quest’anno. Lavorano una decina di persone, fresche anche le assunzioni come quella di un ragazzo lo scorso settembre. Le birre a catalogo sono diventate 18 e si è iniziato a produrre le lattine, «per colpa del Covid», oltre che ampliare gli orari dello spaccio. Ogni difficoltà, trasformata in opportunità.

La leggerezza dell’alluminio aiuta ulteriormente le vendite. In questa accattivante sede si può anche fare degustazione, oltre che acquistare le birre in uno spaccio che si affaccia direttamente sulla via.

Tutto è nato da una passione, sì, è cresciuto anche con l’amicizia e così i quattro soci, provenendo tutti da percorsi professionali diversi, hanno unito le loro strade. Resta unico anche l’obiettivo: «Mantenere la qualità, se non alzarla. Siamo diventati maggiorenni perché abbiamo curato il prodotto e la reputazione».

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Marilena Lualdi

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