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Storie | 26 giugno 2022, 09:33

C’era una volta il bagno nel lago di Varese e ora ci sarà di nuovo: qui ho imparato a nuotare come fecero mio padre e mio nonno (FOTO)

A meno di una settimana dal via libera ai tuffi alla Schiranna e a Bodio Mario Chiodetti ricorda quando i bagni erano un'abitudine, quasi un rito, delle famiglie della Città Giardino. Dai bagnanti spiaggiati ad ascoltare le radioline e le voci di Ameri e Ciotti alle traversate a stile fino all'Isolino, poi arrivarono Bocca e il suo titolo ("La città si specchia nella m.") e Furia che svuotò l'acqua puzzolente nella fontana di piazza Monte Grappa. Ma il richiamo della bellezza di entrare in acqua e ammirare il panorama o il tramonto anche allora era vivo

C’era una volta il bagno nel lago di Varese e ora ci sarà di nuovo: qui ho imparato a nuotare come fecero mio padre e mio nonno (FOTO)

Per anni il lago di Varese lo abbiamo rimirato dall’alto, magari salendo verso Comerio sul Sasso di Gavirate, oppure dal basso, percorrendo la pista ciclabile. Un bel paesaggio, non c’è che dire, il Rosa là in fondo, la chiostra delle montagne, i riflessi, i tramonti invernali, le ombre tra i canneti, gli svassi e i cormorani e i nibbi che si tuffano a pescare.

Diciamocelo, nessuno pensava che si potesse tornare a farci il bagno, anche perché quell’acqua verdognola e puzzolente, striata di strane bollicine biancastre, dava un’idea di immediata malattia, di vibrioni e salmonelle, altro che tuffi e sguazzate rinfrescanti. E poi la melma sul fondo, che solo ad addentrarsi con gli stivali si solleva a nuvolette marroni, per tacere di cosa i piedi nudi potrebbero trovare sul fondo, vetri, lattine rotte, pezzi di legno, plastica varia e chissà che altra monnezza. 

Dopo anni e miliardi spesi a vuoto, il lago era sempre lo stesso, sporco e pieno di inquinanti, con le fognature che ancora scaricavano, e a volte macchie oleose in superficie, segno di qualche svuotamento abusivo di cisterna dei soliti incoscienti. Ora il miracolo, dal 2 luglio Schiranna diventerà Rimini e Bodio Sanremo, si respirerà di nuovo l’atmosfera degli anni Sessanta, con gli ombrelloni e le sdraio, gli asciugamani stesi sulla poca sabbia e un ghiacciolo comperato al baretto del lido. Con la speranza che, diminuito l’inquinamento dell’acqua, non aumenti quello delle rive, con rifiuti abbandonati ovunque e vandalismi, ormai all’ordine del giorno dappertutto. 

C’era una volta il bagno al lago, accompagnato da un preciso rituale, almeno nella nostra famiglia. Già il venerdì papà sondava gli umori di moglie e figli, lui biandronnese nato e cresciuto a pane e alborelle, che da ragazzo andava sulla riva a riempire le bottiglie con l’acqua del lago e poi le portava in tavola, senza che nessuno lamentasse mai un mal di pancia (parliamo degli anni Venti). A occhio nudo, dal piazzale della chiesa di Biandronno vedeva i cavedani e i boccaloni, tanto l’acqua era limpida. 

«Domenica andiamo a fare il bagno alla Schiranna, poi prendiamo la barca e via verso Capolago, poi torniamo e mangiamo il gelato». Erano gli svaghi semplici di allora, all’inizio dei Sessanta, con l’inquinamento che già avanzava e le prime morie di pesci, ma ancora non si era formata una coscienza ambientalista e si andava avanti a vivere come prima, bastava il sole e un po’ di evasione dalla routine di lavoro e famiglia e il lunedì era meno pesante. 

La barca si noleggiava dal Maj, mentre i bagnanti erano spiaggiati ad ascoltare la musica dalle radioline a transistor, le stesse che in altri mesi facevano compagnia allo stadio con le voci di Ameri e Ciotti, alle quali si sostituivano a Schiranna Beach quelle di Mina, Gianni Morandi e Claudio Villa, per non parlare dei Beatles. Come cantava Nanni Svampa, «che bello quando le barche si chiamavano Rosina o Anna e io andavo sul lago tre mesi da mia nonna», la gondola in legno lucido noleggiata dal Marione era a volte la Jolanda altre la Iris, bei nomi antichi e dimenticati, e papà mi faceva provare a remare, cosa che appresa da bambino non scordi più, come l’andare in bicicletta. A quei tempi alla Schiranna organizzavano anche la traversata a stile libero fino all’Isolino Virginia, con tanto di barca d’appoggio fornita di medico a bordo e generi di conforto, con nuotatori dalle cuffie variopinte. 

Poi arrivò Giorgio Bocca e fece il suo leggendario titolo “La città si specchia nella m…”, dopo aver visto di persona le condizioni del lago, ormai malato cronico e impestato dagli scarichi di Ignis e ospedale. Prima di lui Franco Giannantoni aveva già denunciato l’inquinamento in una serie di articoli su “La Prealpina”.

E venne poi Salvatore Furia a vuotare l’acqua puzzolente nella fontana di piazza Monte Grappa, protestando contro l’inerzia delle istituzioni, mentre i fotografi Giorgio Lotti e Gino Oprandi documentavano l’agonia. Arrivò il collettore, arrivarono gli ossigenatori, ma il lago ormai era abbandonato a sé stesso, con i pescatori professionisti che avevano visto scemare la quantità di pesce nobile e aumentare negli anni specie infestanti come carassi e pesci gatto e poi perfino i siluri. 

C’è stata qualche estate della mia gioventù in cui la voglia di fare un bagno ritornava prepotente, l’acqua pareva limpida, così durante le uscite in barca mi dirigevo verso la Baia del Re oppure alla foce del Tinella dove amoreggiano i persici, luoghi classici in passato per tuffarsi, ma più che altro facevo abluzioni per rinfrescarmi un po’ e vincere una calura che non era certo quella africana di oggi, ma ancora il bel luglio azzorriano. 

Bagni di straforo, ma mi è sempre andata bene, niente leptospirosi o escherichie vaganti, solo la bellezza di entrare in acqua e guardare il Campo dei Fiori o il promontorio di Biandronno prima del tramonto. Ho ancora in mente la performance di Alessandra, attrice milanese, che più di vent’anni fa emerse dalle onde davanti all’Isolino al chiaro di luna, atto finale di uno spettacolo dedicato al lago e ai poeti che lo avevano cantato, un’apparizione magnifica, il corpo dipinto di verde e azzurro, una sirena d’acqua dolce in attesa del suo Ulisse. 

Mi tengo stretti questi ricordi, assieme a quelli del lago fantastico dell’infanzia, dove ho imparato a pescare e a remare e anche a nuotare, come fecero mio padre e mio nonno. Fare il bagno quando tutti lo fanno non ha gusto: alla Baia del Re, in solitaria e di contrabbando, nel silenzio del canneto rotto dal verso del cannareccione, rivivevo l’alba del mondo, nuotando piano e guardando gli svassi negli occhi.

Mario Chiodetti

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