Un'altra foto che grida i colori e la gioia dell'ultimo giorno di scuola, ad Haiti. Ma dietro, si nasconde il grigiore delle baracche, della sofferenza e del nonsenso della burocrazia. Quest'ultima ha costretto suor Marcella Catozza a prendere decisioni dolorose, di fronte all'ennesimo nodo. Sempre più la Kay Pè Giuss sta tornando alla sua genesi, ovvero ospita bambini disabili e in pericolo di vita, poi da far rientrare nelle loro famiglie. Perché il progetto pur vitale che si era affiancato e intrecciato - la costruzioni di un futuro per i ragazzi, che venivano in Italia in estate a studiare - si infrange contro il muro della guerra burocratica, non bastasse quella con le armi per le vie di Haiti.
Prendiamo questi bimbi che festeggiano l'ultimo giorno di scuola come i nostri. «Loro abitano nelle baracche intorno alla missione. Vengono alle otto e vanno via alle cinque - spiega la missionaria bustocca - Una classe di 80 al nido (2 anni) due classi di prima asilo, due di seconda e due di terza 450 bimbi in tutto. Colazione pranzo e cena assicurati. In più diamo noi uniforme e materiali vari. Tutto gratuitamente». Un bel sollievo per le famiglie.
Certo, fa male pensare che dopo aver assaporato ore così speciali si torni a vivere in baracche fatiscenti. È quello che è toccato anche ad alcuni ragazzi che erano venuti in Italia in passato: hanno visto un altro modo di vivere, ma poi ecco l'amaro rientro nelle baracche.
Non solo, tra le scelte maggiormente pesanti quella di richiamare la mamma di Fedline, la piccola che ha compiuto un anno lo scorso 18 maggio. Era stata lasciata nella comunità proprio dalla madre, minutissima e in gravi condizioni lo scorso anno. È stata curata ed è diventata la splendida bimba festeggiata con immensa felicità alla Kay il mese scorso.
Ma ora che sta bene, è parso giusto rintracciare la mamma, che l'ha riportata con sé. All'inizio sono state lacrime per la piccola, che non riconosceva la madre; ben presto la situazione è migliorata come ha dimostrato la visita poco tempo dopo: «La nostra piccolina è arrivata con la mamma bella in forma. La mamma contentissima perché la bimba ieri ha smesso di piangere subito e piano piano ha ritrovato la sua mamma. Oggi le abbiamo dato vestitini, latte, pappe, omogenizzati, cremine varie, vitamine che deve prendere». Tutto dosato, settimana per settimana, per evitare che si vada a rivendere il materiale.
Anche questo è il volto della miseria ad Haiti.
Nel frattempo, è giunta una bimba gravemente denutrita di due anni, Kèyla, ma un papà ha anche portato da suor Marcella la piccola Nailie: la sua mamma è morta dopo il parto.
Ci si prende cura di tutti, con un'amara consapevolezza: «Stavo lavorando da un mese giorno e notte - spiega suor Marcella - perché l'ambasciata d'Italia a Santo Domingo ci dà i visti di studio per i quindicenni, sono stati molto disponibili». Così nel nostro Paese ci si stava organizzando per accogliere i primi ragazzini; una di loro che parla già italiano, ad esempio, era attesa da una famiglia a Cassano. Quindi, si è andati dalle autorità di Haiti per avere il permesso d'uscita. Ma queste, dopo i problemi del passato, dicono: «Prima diano loro il visto».
L'unico risultato è che i ragazzi non potranno venire in Italia e si chiude un'altra porta sul futuro. Una porta, parola che stona tra le baracche di Haiti. Come pure la lamentela principale in Occidente: i condizionatori a manetta per combattere il caldo e il caro energia.
«Noi viviamo tutto l'anno a temperature così» commenta suor Marcella. Al caldo rovente, qui, non fa caso nessuno, in comunità, tra le lamiere di una baracca o per strada. La missione qui è sopravvivere, che la Kay sta trasformando in vivere e coltivare la speranza.