Rassicurante, delicato, saggio, pieno di un'umanità contagiosa: Mario Zeni è un varesino doc, amante di calcio e di storia sportiva di una città da “belle èpoque”. Con lui riaffiorano i ricordi di quella vocazione sportiva che mise la Città Giardino nell’Olimpo grazie ai leggendari trionfi della pallacanestro e alla grandeur del calcio.
La sua passione per i colori biancorossi inizia a 12 anni, andando con il padre al Franco Ossola. Nel 1978 riceve l’incarico della società di tenere le relazioni con la tifoseria. Fu Beppe Marotta qualche anno dopo a nominare Mario Zeni come dirigente addetto all'arbitro, mansione che ha svolto con grande passione, impegno e generosità, cercando di conciliare il lavoro di dirigente bancario del gruppo UBI, con questo impegnativo compito. Nell'era della rinascita con Claudio Milanese, Mario era l'uomo meno appariscente ma tra i più importanti e benvoluti da tutti: perché sapeva sempre usare la parola, lo sguardo e il gesto giusti per risolvere ogni situazione.
Zeni, che ricordi ha di quegli anni?
Anzitutto, ho molto nostalgia. In quegli anni c’era molta passione intorno allo sport cittadino. Si respirava una particolare aria, anche solo camminando per le vie del centro. C’era un coinvolgimento particolare, speciale. Si parlava di basket e di calcio ovunque e si faceva la “vasca dei portici” per vedere da vicino i campioni dello sport. Se pensiamo al calcio, i biancorossi in quel periodo hanno fatto crescere due futuri campioni del mondo come Claudio Gentile e Giampiero Marini… La società era una delle più organizzate in Italia: basti pensare che ai piedi del Sacro Monte è nata la figura del preparatore atletico grazie al professor Enrico Arcelli. Qui avevamo anche la figura del massaggiatore, che insieme al medico cercava di ottimizzare i tempi di recupero. Era tutto ben organizzato, e nulla veniva lasciato al caso. Avevamo un settore giovanile di eccellenza che ha formato calciatori che si sono distinti nel campionato italiano della massima serie. Tanti giovani calciatori venivano a Varese con la voglia di imparare, perché sapevano di trovare un ambiente ideale per crescere. Tanti di loro si sono trovati talmente bene che si sono sposati e hanno deciso di stabilire la propria residenza nella nostra stupenda città.
E poi?
Poi come anche nelle migliori favole tutto finisce e si susseguono molte delusioni con fallimenti. I tempi cambiano velocemente e qualcosa si è spezzato, fino ad arrivare ad un passo dalla promozione in serie A con lo storico incontro contro la Sampdoria. Anch’io ero sugli spalti per quella partita, a soffrire.
Come mai lasciò il suo ruolo nel Varese? Per tanti era un punto di riferimento e un simbolo di continuità e familiarità...
Non fu una scelta facile. La passione ed il cuore biancorosso mi dicevano di andare avanti, ma per ragioni professionali non riuscivo più a conciliare il tutto. Lavoravo a Bergamo con una mansione di responsabilità e mi era impossibile gestire il tutto.
C’è qualche ricordo da tifoso che la emoziona ancora?
Negli anni 80 veniva in ritiro l’Inter al Palace Hotel ed era consuetudine giocare la partita di Ferragosto al Franco Ossola, sempre tutto esaurito per l’occasione. Era l’Inter del presidente Pellegrini, che ho conosciuto personalmente: una grandissima persona, molto tranquilla; raggiungeva i nerazzurri alla sera e cenava con loro, creando molta empatia con i calciatori. A Varese veniva anche il Milan di Silvio Berlusconi, accompagnato sempre dal fidato Adriano Galliani e da Ariedo Braida, guarda caso anche lui ex biancorosso.
Ha qualche storia particolare da raccontarci?
Ne racconto una che vede protagonista il grande giornalista sportivo Egisto Marocco. Ai nostri tempi non esisteva la tecnologia attuale per riprendere le partite e anche in televisione si vedevano solo degli spezzoni. Egisto ebbe l’intuito insieme ad alcuni appassionati volenterosi tecnici di ripresa, usando grandi e ingombranti riproduttori in bobina tipo macchine cinematografiche, di andare a riprendere con i relativi permessi delle altre società alcune partite del Varese. Gli incontri pensate venivano poi proiettati in settimana in alcuni fans club e venivano anche visionati dai allenatori, staff tecnico e calciatori per studiare gli avversari. Tutto questo nel nostro bel gioiello di Varese, la città che ha fatto innamorare diversi campioni dello sport e non solo. Mi fai aggiungere una piccola nota?
Certo.
Volutamente non ho fatto nomi per non dimenticare nessuno, ma nel mio cuore sono custode di momenti magici con persone straordinarie, che mi hanno lasciato un segno tangibile e con esperienze che mi hanno arricchito anche nella mia vita professionale. Un augurio lo voglio fare alle due società di basket e di calcio: ritornare ai loro fasti. Anche se i tempi sono cambiati, il cuore dei varesini è ancora pieno di sentimenti e di ricordi.