Opinioni - 14 agosto 2021, 08:30

IL COMMENTO. Il caldo scioglie le nostre certezze: la Terra malata presenta il conto del nostro egoismo

Il clima rovente scioglie i ghiacciai e avvampa il polo Nord, uccide la ragione e distrugge migliaia di ettari di foresta, mentre i padroni del pianeta giocano con i numeri e le statistiche: stiamo consegnando ai nostri eredi un pianeta a scadenza. Eppure non ci fermiamo

Un buco nero, anzi rosso fuoco, un inferno in Terra quale si poteva soltanto immaginare nei b-movie americani pieni di catastrofi e umanità nel baratro salvata da un pugno di eroi. Oggi il film è realtà, gli eroi sono morti e mai come in questi mesi ci siamo sentiti inermi, sopraffatti dagli eventi, dalla natura che si ribella, sfinita dai soprusi e delle violenze che la specie umana le ha riversato in nemmeno due secoli di storia.

Il caldo sta liquefacendo le nostre ultime certezze, scioglie i ghiacciai e avvampa il polo Nord, uccide la ragione e distrugge migliaia di ettari di foresta, mentre i padroni del pianeta giocano con i numeri e le statistiche, procrastinando le emissioni zero a una data che probabilmente sarà già senza appello. 

Per la prima volta abbiamo davvero paura, paura che tutto finisca, che la Terra ci cancelli dalla sua faccia come “specie nociva”, come noi abbiamo fatto e facciamo con gli animali, gli alberi, i fiumi e i laghi, i mari dove le isole sono di plastica, come se tutto fosse illimitato, mentre le risorse sono già terminate e si raschia il barile, alimentando discariche e inquinando ogni angolo del mondo. 

Eppure non ci fermiamo, continuiamo a correre con ferocia verso la nostra probabile estinzione, perché prima o poi i mari si alzeranno, le tempeste e i tifoni aumenteranno di numero e forza e cambieranno vieppiù latitudine, il caldo tropicale ci assalirà per più mesi l’anno, rendendoci la vita impossibile.

L’uomo sta uccidendo l’uomo, con il controllo asfissiante portato da tecnologie sempre più sofisticate che obbligano la massa a pensare in un unico modo, a consumare e dunque esistere, a vivere egoisticamente il momento, inseguendo denaro e potere senza coltivare lo spirito, senza sapere più cosa vuol dire sedersi in mezzo a un prato, respirare la brezza del mattino in un lariceto, attendere l’alba al lago, ascoltare una Suite di Bach, inventare un sorriso, abbracciare un amico e bere con lui un bicchiere di rosso, seduti al tavolo di una trattoria. 

Abbiamo perso del tutto la semplicità del vivere, la leggerezza degli incontri, annullato il piacere dell’attesa, perché oggi per ogni desiderio basta un click del mouse, non abbiamo più la pazienza di fare una ricerca nei libri, ci accontentiamo delle informazioni sommarie del web, quasi sempre pilotate o false, restiamo chiusi nel nostro io, rancoroso e vendicativo come quello dei bambini, sospettosi e malfidenti verso gli altri, incuranti della cosa pubblica, lontani da ogni ricordo di una civica educazione.

Il caldo, o le alluvioni, conseguenza del rapidissimo riscaldamento del pianeta -le temperature più alte mai registrate si contano tutte dal 2000 in poi- sono soltanto il campanello dall’allarme che ormai suona da troppo tempo e segnala una Terra malata forse terminale, e non saranno i miliardi di Musk, Gates, Soros o Bezos a salvare l’umanità traghettandola su Marte o chissà dove, mentre il paradiso era qui e non ce ne siamo mai davvero accorti. 

Oggi tutto è amplificato, ingigantito, pilotato dal linguaggio iperbolico dei media, uniformato e appiattito, si ha paura di esprimere qualsiasi opinione perché la mannaia del politicamente corretto taglia teste ogni secondo, e intanto non ci rendiamo conto che la nostra protervia ci costringe a una vita da topi, chiusi in casa per la paura del virus o del caldo, dell’alluvione o del vicino di siepe, muti e grifagni perché il cellulare non squilla. 

«C’è una vera paura, dapprima individuale e poi subito condivisa, che stavolta ci si trovi al cospetto di una catastrofe lenta e progressiva, probabilmente senza ritorno, l’inizio di una caduta verso l’abisso alla quale, probabilmente, è troppo tardi per mettere riparo», scrive Maurizio de Giovanni nelle pagine del “Corriere”. È la catastrofe dell’uomo come animale sociale, capace di condividere e solidarizzare, di fiutare il pericolo e reagire, di indignarsi e credere nei valori della mente e dello spirito, di lottare con il cuore per tutelare la bellezza che gli sta intorno. 

È la vittoria dell’algoritmocrazia, mostro senz’anima che pilota le nostre vite verso il nulla, il gelo dell’anima e l’adorazione del dio denaro, che tutto semplifica dotandoci di scope intelligenti, uova già impacchettate all’occhio di bue, domestiche virtuali dalle voci suadenti che aprono finestre e porte e mettono la musica che ci piace, uccidendo a poco a poco la manualità e la fatica, la creatività dei singoli, e quella sana vena di follia che rendeva unico il nostro vivere. 

Consegniamo ai nostri eredi un pianeta sconciato e a scadenza breve, preda di virus e malattie di ogni sorta, ma soprattutto un uomo che non c’è più, sopraffatto dalla sua stessa scienza e dalla sete di potere, che ha incominciato la sua discesa agli inferi quando si allontanato dalla terra e dalle sue leggi, violando l’armonia delle stagioni e alterando il ritmo del tempo. La natura non ha paura di noi. Semplicemente, ci eliminerà. 

Sudate in pace, amen.

Mario Chiodetti