Sono le 5 e 20 quando arrivo al porticciolo di Cazzago Brabbia, il cielo ha tutti i toni del blu e la natura sta preparandosi al risveglio. Il cannareccione è già in voce, nascosto tra le cannucce dietro il “darsenun”, l’airone cenerino fa buona guardia sul pontile e due fistioni turchi si inseguono nel buio quasi assoluto. Un po’ di birdwatching non guasta, intanto aspetto il “Negus”, che si è dimenticato di far uscire il “barchét” dalla darsena con cui dovrei andare all’Isolino a scattare un po’ di fotografie.
Telefonargli? È un po’ prestino, anche se i pescatori son già su all’alba, ma il Luìs va per gli 86 ed è meglio rispettare i suoi tempi. So che sarà qui per le 7 al massimo, intanto mi godo lo sfumare del cielo, il navy blue dell’acqua e il turchese dei monti, mentre dietro la punta di Cazzago già si mostrano tracce di arancione e il primo cigno cerca la sua Leda nuotando sotto costa.
Minuto dopo minuto, le nuvole si mostrano compatte, prima grigie e poi biancastre, a strati, simili alla gran parrucca di un notabile del Settecento, cantano i merli, arrivano ballerine bianche e codirossi, la folaga cova proprio sotto i sassoni, il cielo ha i toni dell’acquerello e la gatta tricolore è la profetessa del Negus, che spunta con lei che gli cammina davanti, in mano sacchetti con dentro non si sa cosa.
La barca è pronta, salpo per l’Isola Virginia, ancora indistinta nella luce novella del giorno, ma approdo sicuro per una rapida colazione e due chiacchiere con il “Zanett”, che lancia strali contro il proliferare dei fiori di loto e l’avanzare delle alghe, già padrone dello specchio d’acqua circostante l’isola, e siamo solo ai primi di giugno. Il lago continua a essere malato, nonostante i proclami e gli stanziamenti, piove poco e l’acqua è calda, 17 gradi, ideale per la poltiglia infernale di alghe verdi che soffoca ninfee e nannuferi. Il riscaldamento globale colpisce duro anche qui.
I ristoratori della “Tana dell’Isolino” mi offrono cappuccino e crostata fatta in casa, e lamentano di non poter trasportare i visitatori con la barca da Biandronno se non il sabato e la domenica, con un’assurda “ultima corsa” estiva alle 17, proprio all’ora dell’aperitivo sotto le fresche frasche, una trovata di chi, con molta probabilità, il lago lo ha visto soltanto riprodotto in qualche manifesto.
Riporto la prua verso Cazzago, il paese sembra sospeso, le nuvole si specchiano nell’acqua dando all’immagine un effetto cornice da cartolina anni Cinquanta. Sono le 9 e sono in piedi dalle 4, ma i remi belli pesanti del Luìs mi tengono ben desto, punto il “darsenun” e ci arrivo in un attimo, il lago è un olio, non c’è un’increspatura, l’anticiclone tropicale incomincia a sbuffare aria umida e pesante e si prende tutte le mie maledizioni.
I cigni hanno capito che non sono il “Negus” e non mi vengono incontro, lui è seduto al baretto a fare colazione intrattenendo una simpatica signora con la sua maieutica fatta di buonsenso e saggezza antica. A casa scarico le fotografie e capisco ancora una volta quanto sia fortunato a poter godere di questa grande bellezza, malgrado i guai della vita e le incertezze del domani. Sul vecchio “barchét” del Luìs sono un uomo libero, come l’acqua, le nuvole, i pesci e gli uccelli. Unisco il mio respiro al loro e, tra un colpo di remo e l’altro, mi metto a fischiettare.