La storia di Pietro Carmignani, meglio conosciuto nel mondo calcistico italiano come Gedeone, inizia nei primi anni 60, da ragazzino, nella pineta di Viareggio, dove si sfidavano le bande dei ragazzi, divisi in quartieri. In queste sfide, che andavano avanti ad oltranza, giocava anche un certo Marcello Lippi, che sarà negli anni un punto fermo del calcio italiano. E sempre in queste partite, in cui la finale era quasi sempre tra il rione mercato e il rione stazione, il giovanissimo Pietro, che difendeva lo spazio tra due zaini, i "pali" della porta, fece capire subito ai compagni la sua predisposizione a fare il portiere e a rispondere con uscite acrobatiche.
A 15 anni venne ingaggiato nella Stella Rossa di Viareggio, dove si fa notare da subito. A 18 anni il passaggio al Como, in serie C, dove rimane per tre anni, fino al 1967, per poi venire al Varese, come riserva del titolare Da Pozzo: nella Città Giardino si fermerà fino al 1971. A seguire la Juventus, il Napoli, la Fiorentina e, a chiudere, la Rhodense. Conclusa la carriera da portiere, iniziano le sue straordinarie esperienze da allenatore nel Parma, nel Milan, nella nazionale italiana insieme ad Arrigo Sacchi...
Mister Carmignani, ci racconta qualche ricordo del suo periodo biancorosso?
A Varese, città molto bella e a misura d’uomo, mi sono trovato da subito benissimo. Ho conosciuto mia moglie mentre con amici facevo le vasche in corso Matteotti. Finito di giocare a calcio abbiamo deciso di abitare qui ed è diventata la mia città. Ricordo che arrivai a Como giovanissimo e soffrivo di tanta nostalgia della mia Toscana. A Varese, invece, fu diverso. Eravamo una banda di amici, dormivo al Bel Sit di Comerio con Anastasi, Morini, Rimbano. Allora le nostre "scappatelle" erano quelle di andare in una vicina pizzeria e mangiare un pezzo di una buonissima pizza al trancio. Erano veramente amicizie sincere, come quella con Pietro Anastasi: abbiamo fatto il viaggio di nozze a Parigi insieme... Sono quelle emozioni che ti porti nel cuore e che fanno parte della tua vita per sempre.
Lei è conosciuto con il nome di Gedeone: come mai?
È un simpatico soprannome che mi è stato dato, se non ricordo male, a Como, dai miei compagni o dal mister: indicava che ero il guardiano della città e difendevo la porta nel campo di calcio. Sono quelle cose simpatiche che avvengono senza un perché. Da allora tutti mi chiamano "Gede".
Dopo l’esperienza varesina passò alla Juve e al Napoli: come si trovò?
A Torino arrivai da un ambiente molto familiare, quello varesino, in una società manageriale. Ho faticato ad entrare nella mentalità torinese. Mentre a Napoli, dove sono arrivato per sostituire Dino Zoff, ho trovato un ambiente da favola, un luogo straordinario e un clima perfetto.
Ci racconta le sue esperienze di portiere di allora?
A Napoli era bello allenarsi perché no faceva freddo. Allora non si usavano i guanti e i pantaloncini imbottiti. L’arrivo dei guanti è stata una rivoluzione tecnica epocale di quegli anni. Quando faceva freddo usavamo guantoni in lana, simili a quelli in dotazione all’Esercito, mentre per imbottire i pantaloncini o la calzamaglia usavamo la bambagia per attutire i colpi e non farci male, perché nella zona vicino alle porte normalmente non c’era erba e ci si tuffava sulla segatura, con qualche sassolino noioso che graffiava le gambe.
Come iniziò la sua carriera da allenatore invece?
Nel 1980, grazie a Riccardo Sogliano. Iniziai come vice di Arrigo Sacchi e seguendo la Primavera. Poi con Arrigo andai al Milan come allenatore dei portieri. Poi sempre con il tecnico di Fusignano sono stato vice in Nazionale, poi sono stato all'Atletico Madrid. Certo che per raccontare tutte le mie esperienze di allenatore ci vorrebbe molto tempo... Posso dire che ho avuto la fortuna di allenare calciatori meravigliosi e di collaborare con tecnici di alto livello, tra cui Zeman.
Ha allenato anche i ragazzini?
Certo! A Varese ho fatto questa esperienza e devo dire che mi è piaciuta moltissimo. Accompagnavo i miei nipoti e davo un contributo. Mi divertivo tantissimo a seguire i bambini nel "Progetto Bimbo" del grande Marco Caccianiga. Vedere i bambinetti correre dietro ad un pallone mi riempiva di gioia, ricordando quello che diceva Zeman: "Dove c’è un pallone in ogni luogo del mondo ci sono bambini che giocano con entusiasmo diventando amici e senza le pretese di diventare campioni e affidarsi ai procuratori".
Come vede il calcio di oggi?
Oggi come allora il calcio è marketing, che si è adeguato alla realtà della società. Certo oggi sono i procuratori a tenere banco... Ma è cosi, ogni epoca ha i suoi cambiamenti. Non ci sono più gli oratori dove si andavano a vedere i ragazzi promettenti. Ora ci sono le scuole calcio e bisogna adeguarsi. Anche se tante volte tutto ciò è esagerato.
Quale era la sua filosofia di allenatore?
Ho avuto la fortuna di allenare bravi ragazzi e seri professionisti. Bisogna usare equilibrio e studiare il calcio nei minimi particolari stando sempre vicino ai calciatori. I vari moduli di gioco vanno sempre realizzati in base alle qualità dei calciatori che si ha a disposizione. Sacchi e il sottoscritto, durante i ritiri, facevano le tavolate con i calciatori per creare gruppo. Certo Arrigo aveva un carisma particolare.
Lei ha giocato contro Gigi Riva ed è stato per anni in Nazionale con lui.
Gigi Riva era la disperazione degli stopper e del libero, oltre che dei portieri. Anche se marcato stretto riusciva a girarsi in uno spazio minuscolo e far partire il suo potente tiro, che aveva il sibilo di un proiettile. In Nazionale è stato un dirigente magnifico: capiva al volo le situazioni e aveva una innata dote psicologica con cui motivava i calciatori senza troppi giri di parole. Poche persone come lui hanno il dono della sintesi dove non bisogna dire troppe parole, ma fare i fatti e tutto sottotraccia, senza mai andare sopra la righe.
Cosa fa oggi Gedeone?
Mi tengo in forma giocando a tennis con alcuni amici tra cui il dottor Giulio Clerici, che è fortissimo. Poi faccio il nonno dei miei stupendi nipotini. E rivedo alcune partite della nazionale italiana. Poi se volete qualche volta della mia esperienza di vice commissario tecnico ne possiamo parlare...