La salvezza è un traguardo, indipendentemente che sia arrivata senza una vittoria a suggellarla. Perché la salvezza è un cammino, è una sintesi, di partite ne contiene 28, non una, soprattutto non solo l’ultima.
Estraniandoci quindi dai 40 minuti odierni e dalle loro indicazioni, non così positive (la Openjobmetis è stata meno brava, meno fresca, meno furba: ha difeso e ha attaccato peggio), il nastro si riavvolge. E va a rivedere il terremoto di settembre e prima ancora i palesi errori di costruzione del roster, parto societario e di un allenatore che non è più qui. Va a riannusare i mesi da tregenda, gli insuccessi sempre uguali, la sfortuna pesante, il Covid. E infine va ad accarezzare i cambiamenti necessari, la crescita nel e con il lavoro, le vittorie che hanno dato ossigeno.
No, non era scontato essere qui, oggi.
Il pensiero allora corre subito a capitan Ferrero. E a uno di quei giorni in cui sperare era più difficile che raggiungere l’Everest saltellando. Arriva un messaggio: «Io forse non riuscirò mai a vincere nulla con Varese. Ma in A2, da capitano, non la porto».
È stato come sempre di parola, Giancarlo, simbolo di un gruppo di giocatori che non hanno mai mollato («grandi uomini» li ha definiti stasera il loro coach), che ha trovato prima fuori dal campo poi in campo il seme per fermare la propria caduta e poi per risalire, fino a sbocciare quel tanto che è bastato per raddrizzare la stagione.
Questa è la loro salvezza, loro e di coach Bulleri. Perché a volte c’è qualcosa di ben più potente in grado di scavare anche la pietra più dura di un tiro sbagliato o di un tiro che entra.
Mettiamo un punto, perché finalmente lo può mettere anche Varese.
Da qui in poi - salvo il fatto che l’aritmetica ancora non nega una minima speranza di playoff: forse lo nega di più ciò che abbiamo visto stasera sul parquet - bisogna iniziare a pensare a quello che potrà essere il futuro. Sarà un ragionamento lungo, che deve tenere conto di fattori al momento inintelligibili: le regole che governeranno la nuova Serie A e la capacità di rispondere a tali nuovi dettami (anche con la necessità di cambiare e non poco), il polso che avranno gli sponsor e quindi il budget che sarà a disposizione della società, il destino del mondo intero nella lotta alla pandemia e quindi le norme che ancora potranno determinare restrizioni alle nostre esistenze (e di conseguenza anche al basket).
In tutto questo: che squadra verrà immaginata? Sarà l’ultima matassa da districare, ma le elucubrazioni inizino subito. Senza emotività, senza farsi condizionare né solo dai primi mesi, né solo dagli ultimi e soprattutto senza slogan che - gettati in pasto al popolo senza adeguata riflessione - sono talmente vuoti di razionalità da diventare pericolosi (in particolare quelli che riguardano un campione che ha 40 anni, una settimana fa è stato decisivo ma oggi è apparso - giustamente eh - alla frutta di fine stagione come condizione fisico-atletica).
Uno mas? L’importante è che non riguardi Varese, che vorremmo vedere meno problematica, più solida, meno sofferente, meglio pensata nel mercato estivo. Indipendentemente da chi rimarrà, Scola compreso, elemento del tutto, non esterno a esso.
Altrimenti vorrebbe dire non aver imparato nulla. E questa sarebbe la vera retrocessione.