Papà, c’è posta per te...
Veronica Borghi è la figlia di Ambrogio Borghi, meglio conosciuto dai tifosi varesini come "Ambros" per i suoi indimenticabili anni da calciatore nella gloriosa storia del Varese Calcio e, per oltre un ventennio, allenatore di talenti nelle giovanili biancorosse. Con la figlia Veronica andiamo alla scoperta del rapporto con il capitano e il papà.
Veronica che ricordi adolescenziali ha di suo papà?
Quando sono nata, papà era alla sua penultima stagione al Varese, l’anno in cui vinsero il campionato e ritornarono in serie A. A parte alcune immagini, ricordo quelle partite più dai racconti di mia mamma, che già così piccola mi portava a vederlo giocare in serie A al Franco Ossola. Ho più ricordi di quando giocava ad Alessandria, dove abbiamo abitato due anni, sempre circondati dai compagni di squadra, e nella Biellese. A Biella c’era un piccolo parco giochi all’interno dello stadio, accanto al campo, dove mia mamma era... costretta a intrattenermi per quasi tutta la partita; così papà appena poteva, tra un tempo e l’altro, correva verso la rete per venirci a salutare. E poi ci sono nella memoria tutti i successivi anni come allenatore al Varese, in quello stadio che ho sempre sentito un po' casa.
Come ha passato la sua adolescenza a Varese?
Ho avuto un’adolescenza decisamente felice. Abitavamo a Sant’Ambrogio, dove ho fatto le elementari, poi ho frequentato la Vidoletti, fino alle superiori in centro. Alcuni amici di scuola erano ragazzi che allenava papà al Varese e trovavo abbastanza divertente il timore che avevano di lui, del “Mister”. Come allenatore era autoritario ma sempre affabile e pronto alla battuta; dai ragazzi ha sempre preteso il massimo impegno in campo ma anche nello studio, perché ci teneva alla loro formazione dentro e fuori dal campo. Si faceva persino portare le pagelle per accertarsi che non trascurassero lo studio.
Allora anche per lei non sarà stato facile...
Ma no, papà ancora adesso come allora è un buono, chi lo conosce lo sa bene. Penso che per molti ragazzi sia stato un maestro di calcio ma anche di vita e, ancora adesso, quando capita di incontrare i suoi ex atleti, sono sempre felici di rivederlo e riconoscenti per quanto ha insegnato loro.
Veronica, possiamo dirlo? La sua vita è un continuo respirare aria di calcio.
In un certo senso sì, ha un profumo familiare che mi è caro, anche se non è il mio sport. Io amo la vela e appena c’è occasione mi imbarco per veleggiate e regate non agonistiche, sia sul Lago Maggiore che al mare. Però sin da bambina ho sempre respirato quell’atmosfera particolare, a cui associo con affetto quel profumo intenso e riconoscibile degli spogliatoi, quel misto di doccia, lavanderia e umidità che ho ancora impresso e che sentivo anche aprendo il bagagliaio della macchina di papà, sempre pieno di borsoni, divise, palloni e appunti di schemi di gioco. Poi ai miei è sempre piaciuto invitare gente a cena, mia mamma è un’ottima cuoca, ed è una tradizione che prosegue tuttora insieme ad amici ed ex calciatori del tempo come Morini, Papini, Dolci, Ramella e Cunati, che è come un secondo papà. È sempre bello vederli insieme, a scherzare come eterni ragazzi. Il mio compito è solo quello di aiutare mia mamma nel servire a tavola tutte le sue specialità, lo chef è lei e guai a invadere il suo spazio.
Cosa prova quando rivede i ricordi e le fotografie di papà?
Tante emozioni e orgoglio. Sia io che mia mamma conserviamo foto, ritagli di giornale, riconoscimenti, maglie, compresa la tuta della Nazionale e il pallone con cui mio padre segnò il gol in Coppa Italia contro l’Inter. Tra le tante cose che conservo, recentemente ho ritrovato alcuni pensieri che avevo scritto pensando a papà, che però non gli ho mai fatto leggere. Sono sempre stata più brava a scrivere che a parlare, ma credo che questa sia una bella occasione per farlo.
Prego.
Non credo di avergli mai detto che per me è sempre stato il mio idolo. Ho sempre pensato di avere un papà straordinario: affettuoso, sportivo, atletico, con un lavoro fuori dal comune che non era solo lavoro, ma era lui, era puro amore, arte e poesia. Papà e il calcio sono sempre stati un binomio inscindibile e questa innata dedizione che lo ha accompagnato fin da bambino mi ha sempre riempito di grandi emozioni, che so essere nulla in confronto alle sue. Che sono quelle di ogni sportivo che persegue il proprio sogno. Crescendo, tante persone che incontravamo mi raccontavano delle sue imprese calcistiche degli anni precedenti alla mia nascita e non potevo che essere felice per le loro parole d’affetto. Ma prima di tutto quello era il mio papà, il mio complice, quello con cui ho sempre condiviso l’amore per lo sport, il mare, la Sardegna, la vita all’aria aperta, la convivialità con tanti amici e i grandi sogni. Anche quando era via con la squadra mi rendo conto che in realtà non ho mai percepito la sua assenza perché, anche se non era presente, lui era sempre con me, con il suo immenso amore e... i suoi baffi. Era ed è tutt’ora il mio eroe e gli eroi si sa, non possono essere sempre presenti perché sono impegnati a fare grandi cose. Ma quando ci sono, rendono la vita più speciale.
Veronica, perché sono rimasti nel cassetto questi straordinari pensieri?
Aspettavo una occasione speciale e chissà che un giorno non riesca a finire quel libro che mi piacerebbe tanto scrivere... Intanto speriamo che questo periodo finisca presto e che si possa tornare a organizzare una bella cena con tutti i ragazzi degli anni d’oro; mamma Iride è già ai fornelli e la prossima volta giuro che almeno il dolce lo preparo io.