Il rombo, a scemare veloce come un glissando sul pianoforte, di solito lo ascolto verso le 11 dalla stanza del mio studio che affaccia su via Bligny. E inconfondibile, anche perché il guidatore dello scooter dà una lieve sgasata dopo la curva della discesa, prima di frenare, girare a sinistra e imboccare via Malta. Mariano il Postino di Giubiano, come tutti lo chiamano nella nostra castellanza, va come una scheggia sullo scooter giallo limone delle Poste Italiane, un Liberty Piaggio versione Delivery, baule capiente sul retro e portapacchi anteriore con borsa rigurgitante di pacchi e pacchettini, raccomandate e lettere forse d’amore, bollette, multe, quotidiani e riviste per abbonati. A volte qualche cartolina dalle vacanze, di romantici in disarmo.
Mariano non suona il campanello, avverte con due colpi di clacson, forse memore del film di Tay Garnett con gli amanti Lana Turner e John Garfield, in cui il postino si sostituiva al destino. Del resto via Malta è stretta e corta, in tempo di coronavirus il beep beeep si avverte come uno squillo di tromba e si spera sempre in buone notizie, che il destino consegnato da Mariano sia di quelli bonari e sorridenti come lui, napoletano di Boscoreale, «alle falde d’o’ Vesuvio» e non del Kilimangiaro, come cantava ai tempi Edoardo Vianello, romano de Roma.
Se ci sono pacchi, Mariano Ugga, quarantanovenne, dal 1998 alle Poste e da due anni in giro per Giubiano, smonta dal Liberty e aspetta la mia discesa con il palmare in mano e un’espressione sorniona: «Mi fai lavorare troppo, mo’ sempre con ‘sti pacchi, ma che compri? Alle Poste ti conoscono tutti, Chiodetti, quello dei pacchetti!», dice in rima baciata, qualche volta con l’abbigliamento canonico metà verde fosforescente e metà blu, con il caldo in maglietta, sudato da torcere per il bollore africano dell’estate.
«Sono immortale!», mi dice in questi tempi di morti a dozzine e virus circolante, e l’highlander Mariano sostiene che i lombardi criticano i napoletani tacciandoli di essere lazzaroni, «ma qui c’è un napoletano del Vesuvio che la posta la consegna come un orologio, anche adesso col pericolo di contagio».
Ogni santo giorno, dal lunedì al venerdì, Mariano il Postino di Giubiano compie due lunghi giri di consegne: da via del Lazzaretto zona Belforte, risale in via Bixio, Doberdò, Bligny, Malta e Da Vinci, poi schizza dalle parti di via Lazio, Tamagno, Cadore, San Michele del Carso, dalle 7,30 alle 14,57, quando più o meno smonta, perché a volte ci sono anche straordinari, con un surplus di raccomandate e magari i pacchi del Chiodetti da mettere in buca o consegnare brevi manu.
«Adesso, con il D. L. 18/2020 articolo 18, abbiamo la facoltà di firmare la ricevuta al posto del cliente, lui consenziente, per evitare contatti. Amo questo lavoro, a parte quando piove», spiega mentre abbassa un attimo la mascherina per fare la fotografia «se no non si vede manco la faccia. Sono nato a Giubiano e abito tuttora in piazza Biroldi, mi conoscono tutti, è come avere una famiglia allargata, è tutta brava gente», spiega il single «non per scelta» Mariano, la scheggia gialloblu.
«Ci sono anche clienti strani, come un tipo di via Lazio che per ogni lettera o pacchetto declama versi in rima, poi gli anziani che aspettano il giornale. La gente acquista un sacco di scarpe, ma anche libri, dvd e cd, adesso molte mascherine e prodotti medicinali. Consegno pacchi che pesano fino a 5 chili, i più pesanti e voluminosi li porta il postino business con la macchina».
Mariano mi parla di Boscoreale e del suo tesoro, custodito al Louvre, ben 108 pezzi unici di alta oreficeria rinvenuti nel 1895 in una villa romana del suo paese, nella contrada Pisanella. «Se vai su internèt li vedi, ‘so al Louvre, furono esportati clandestinamente. A casa dei miei genitori vado per le ferie o a Natale, però almeno una volta l’anno ci torno. Hobby? Mi piace mangiare e bere bene, ma la passione vera, oltre alle passeggiate e alla visita di luoghi storici, è quella per il mare. La mia famiglia possiede una casetta a Cetraro, in Calabria, provincia di Cosenza, da quarant’anni ci riuniamo lì d’estate, i parenti mi chiamano “il pustìn”, alla lombarda».
Le fotografie sono scattate, Mariano il Postino di Giubiano si mette in posa inforcando il Liberty, casco e mascherina più o meno in assetto, occhiali e sorriso sempre presente, come l’accento partenopeo che mette di buonumore, anche se la raccomandata è di quelle buie, con balzelli espressi in burocratese stretto. Ormai, per me, il suo richiamo sonoro delle 11 è come il canto di una sirena, e so che può significare guai e soldi da cacciare, come invece uno spartito musicale raro che arriva, un libro lungamente inseguito, o un disco da ascoltare la sera al buio, solo con me stesso e la musica. «Chiodetti, e mo’ che hai comprato ancora?». Napoli e un sorriso, per continuare a credere nella vita.