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Hockey | 26 marzo 2020, 08:36

Paolo Capobianco: «Io, il divano, il beverone e la bombola d'ossigeno. Appena finisce ci vediamo?»

Lo speaker dell'hockey, in convalescenza dopo la battaglia contro la malattia, non può andare in ospedale per non rischiare di essere contagiato. Anche il padre è in terapia intensiva ma lui non molla. «Mio figlio su Skype mi dice “papà, ma cosa sono quelle cannucce che hai nel naso?" e scoppiamo a ridere»

Paolo Capobianco: «Io, il divano, il beverone e la bombola d'ossigeno. Appena finisce ci vediamo?»

La battaglia continua. Paolo Capobianco è stato il primo Mastino nella stagione dell'hockey varesino, visto che ha continuato a lottare per vincere la guerra contro la malattia ed è tornato al suo posto da speaker al palaghiaccio, ma si conferma un "mastino" anche in queste settimane in cui la guerra al Coronavirus coinvolge tutti. E lui, ancora una volta, è al fronte. Con il suo esempio, il suo coraggio, le sue parole che danno forza, rendendo "minuscoli" i nostri sacrifici e maiuscoli quelli di chi è davvero in prima linea tutti i giorni.  

«Sì, la battaglia continua nella mia casa di Induno - dice Paolo - dove ci siamo io, il divano, due bombole di ossigeno e il beverone di Meritene con cui mi alimento poiché non riesco a trattenere cibi solidi e a volte nemmeno liquidi».

Paolo, che ha il papà ricoverato in gravi condizioni per Coronavirus nella terapia intensiva all'Humanitas a Rozzano, ed è ancora debilitato dopo gli interventi e le cure, non può naturalmente permettersi di entrare in contatto con il virus: «Ho accusato problemi respiratori - racconta - e sono stato immediatamente raggiunto dalla croce rossa di Arcisate con un equipaggio carinissimo che vorrei ringraziare con tutto il cuore. Mi hanno visitato e mi hanno detto che era meglio non andare a farmi controllare in ospedale: pur con tutte le precauzioni, inutile rischiare. Vado avanti così, con i miei 50 chili che alimento con il beverone prescritto dal medico e con l'ossigeno che il mio amico Marco Lovati si preoccupa di farmi arrivare dalla farmacia. Quando lo vedo arrivare, sono più contento di vedere lui, seppur per pochissimo, che non le bombole di ossigeno».

Ma Paolo, mastino per davvero, non è tipo da piangersi addosso. «Ci sono la ventina di chiamate giornaliere con mio figlio Mirko, 8 anni, che una delle ultime volte mi ha detto "Papà, guarda che hai delle cannucce nel naso...", facendomi scoppiare a ridere. A fine mese dovrei riuscire a vederlo, adesso è a Induno con la mamma e ogni tanto con la nonna». 

Poi c'è anche un'altra chiamata, ed è quella dall'Humanitas che aggiorna quotidianamente Paolo sulle condizioni del papà: «Ringrazio tutti coloro che lavorano nelle terapie intensive perché sono gentilissimi e riescono a mostrare una straordinaria umanità nei miei confronti e in quelli di tutti i parenti che non possono più vedere né parlare con i loro cari». 

Paolo cerca di tener duro e si aggrappa ad alcuni piccole, grandi speranze che in questo momento sono soltanto sogni. «Mi manca l'hockey. Quando sarà finita vorrei rivedere tutti quanti davanti a una birra, magari al bar del palaghiaccio: la nostra stagione e la nostra battaglia saranno comunque da festeggiare. Vorrei rivedere i giocatori, i ragazzi della curva... Intanto vi lancio un'idea: perché non dedicate una delle vostre dirette proprio a loro?». Ogni tuo desiderio è un ordine, Paolo: sarà fatto.

«Ho un po' più di tempo da far passare - prosegue Paolo - ma non lo passo su Facebook e sui social perché ci sono solo notizie negative. Io cerco positività e allora sento, una a una, tutte le persone che mi hanno scritto durante i miei ricoveri e la convalescenza. Il presidente Torchio mi chiama ogni giorno, abbiamo fatto anche una videochiamata a quattro con Claudio Barausse, il magazziniere giallonero, e Valerio Garzarella, il papà di un piccolo mastino. Sento spesso il mio capo, Vincenzo Palese, e tantissimi altri, ma ora tocca a voi».

Ci pensa Paolo a dettarci gli inviti per la diretta Skype di VareseNoi: «Dovete chiamare Andrea Sniper Vanetti, Michael Mazzacane quando smonta dall'ospedale di Circolo, così vi racconta come vanno le cose là dentro e i sacrifici che fanno, capitan Raimondi e poi i ragazzi della curva. Sono segregati, chissà come fremono...». 

La chiusura non è per se stesso (Paolo avrebbe dovuto essere visitato dal pneumologo due settimane fa ma «giustamente adesso la priorità è salvare vite, io posso aspettare»): «Ho una fortuna ed è quella di avere tanti Mastini nel cuore, sarà per quello che la battaglia continua». 

Andrea Confalonieri


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