Una lettera piena d'orgoglio, spirito battagliero e vita: è quella scritta su Facebook da Giambattista Tita Da Rin per sua mamma che sta combattendo la battaglia contro quello che lui chiama "bastardo", cioè il morbo di Alzheimer, non rinunciando ad andare al palazzetto proprio con lei che ha cresciuto la famiglia a pane e pallacanestro. Un profondo spirito di varesinità anima queste parole in cui un pallone da basket non è solo un pallone da basket, ma molto di più.
«Bastardo, Alzheimer, sei solo un vigliacco bastardo. Hai colpito ma non affondato una gran donna che ha cresciuto con suo marito tre figli maschi, prima in trasferta all’estero, poi qui in Italia in provincia di Varese. Il primo dei figli ha avuto da subito la passione per il basket, classe 1964, con i miti di Varese e dell’NBA di quei tempi che tutt’ora sono nella memoria vista la loro grandezza. Parlo di Doctor J, Larry, Magic, Dino Meneghin, Zanatta, Della Fiori, Mentasti, Vescovi e poi anche i vari Pozzecco, Galanda, Andrea Meneghin, De Pol. E poi anche l’altro fratello classe 1965 ed io, classe 1970, ci siamo cimentati con la palla a spicchi giocando a buoni livelli. Ora è il tempo dei figli, dei nipoti e a turno entrambi i miei figli hanno giocato a basket, ed uno, Simone classe 2003, gioca ancora nella Pallacanestro Varese Under 18 col buon coach Bizzozi.
Cosa c’entra tutto questo con l’inizio della storia?
Il basket è anche terapeutico.
Mia mamma afflitta dal bastardo come purtroppo sa chi ha a che fare con la malattia dell'Alzheimer, è iperattiva da mattina a sera ed è difficile tenerla a bada. Beh... quando la porto al palazzetto di Varese a vedere suo nipote ad allenamento o alla partita, si siede al solito posto in seconda fila in parterre chiedendomi sempre “Ma Simone è quello lì?” (suo nipote), riuscendo a riconoscerlo tra i circa venti ragazzi in campo. Oppure lo confonde con uno simile, ma poco importa. Dopo 30 secondi mi rifà la stessa domanda e dopo altri 30 me la rifà nuovamente e così via... Ma questo fa parte del maledetto gioco: a noi sembra ripetitiva e stancante ma per lei è sempre la prima volta che lo chiede, quindi ci si adegua.
A volte arriviamo un po’ prima ed assistiamo all’allenamento della Serie A e quando coach Caja “redarguisce” a gran voce i suoi atleti e lei mi chiede "Ma con chi ce l’ha quello che grida?", mi scappa sempre un sorriso sotto i baffi nella speranza che coach Caja non se ne accorga... Altrimenti sgriderebbe anche noi...
Una volta, arrivando al palazzetto, mi sono soffermato all'ingresso a parlare con una persona e lei mi è scappata via con uno scatto perentorio... La cerco e la ritrovo sul parquet. Sì al centro dell’area dei 3 secondi, accanto ad un Under 18 di 2,08 mt, durante l'allenamento: lei arrivava più o meno al girovita di lui... E' stata fortunatamente recuperata sana e salva. Mi ha detto che stava cercando Simone, e lo aveva anche trovato, rischiando il torcicollo per guardarli in faccia uno ad uno.
Quando andiamo a vedere una partita si siede e sta ferma ad osservare. E a fare domande. Ma si calma e si rilassa da non sembrar vero. Il basket è terapeutico per lei. E considerando che bazzica i campi da basket da circa 40 anni vedendo decine e decine di partite a qualsiasi livello, mi sa che con la palla non sarebbe male nemmeno lei...
Grazie basket.
Grazie anche per questo, per farci tirare il fiato non sapendo esattamente cosa quel suo povero cervello annebbiato dalla malattia le faccia percepire. Lei che ad ogni canestro, in allenamento o in riscaldamento o in partita, che sia Simone o un suo compagno, fa sempre partire un applauso.
A chi ha a che fare con questa triste realtà mi permetto di consigliare di non rinchiuderli in casa per farli stare tutto il giorno sul divano: sono vivi, ed anche se spesso hanno quello sguardo spento, magari anche solo una palla da basket può riaccenderli facendoli sentire ancora parte di questo mondo.
Il giorno che mia mamma non si ricorderà il nome di Simone e non lo riconoscerà, sarà ancora più triste. Ma io glielo indicherò. E dopo altri 30 secondi glielo indicherò di nuovo. Sempre seduti lì in seconda fila del parterre a guardare una palla che rimbalza: una meravigliosa terapia per la vita»
Giambattista Tita Da Rin