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Busto Arsizio | 13 ottobre 2019, 11:08

IL RICORDO. La gente a Busto diceva «sono di don Ambrogio» ancora prima di «sono di Sant’Edoardo»

Don Ambrogio Gianotti fece nascere la chiesa e la comunità di Sant'Edoardo da un campo di granturco. Fu determinante nel periodo della Resistenza: l'incontro da cui scaturì l'ordine di insurrezione in Lombardia avvenne accanto al santuario. Il ricordo di Marilena Lualdi nei giorni della patronale

IL RICORDO. La gente a Busto diceva «sono di don Ambrogio» ancora prima di «sono di Sant’Edoardo»

«Vocazione adulta, studi di ingegneria, uomo di grande cultura e saggezza». Queste pennellate che ritraggono don Ambrogio Gianotti sono vergate da Gian Pietro Rossi, nel suo libro dedicato a un altro grande sacerdote, monsignor Giuseppe Ravazzani.

In questi giorni si svolge la patronale di Sant’Edoardo, a Busto Arsizio. Una festa che si rinnova di anno in anno nell’unica parrocchia d’Italia dedicata a un santo alquanto particolare: un re, un inglese. Una scelta, che era anche un grazie: ad Edoardo Gabardi, grande benefattore.

Questo però non è un anno qualsiasi e noi vorremmo fermarci un attimo, a ricordare. A ringraziare, a nostra volta. Mezzo secolo fa si spegneva don Ambrogio, che aveva lasciato l’oratorio di San Luigi, frequentato da Rossi per una missione speciale nel 1938: far nascere, appunto, la chiesa e la comunità di Sant’Edoardo da campi di granturco. Una missione a cui fu così legato, che quando morì nel 1969 appunto, espresse un desiderio: essere sepolto nella sua chiesa.

Chi entrerà in questi giorni di festa nel santuario che oggi svetta in un quartiere così popoloso (allora, immerso nella campagna), può scorgere la foto con il volto di questo sacerdote. Straordinario per più di un motivo. Fu proclamato benemerito nel 1966, certo. Costruì pietra su pietra la chiesa in viale Alfieri e ancor di più radunò le sue anime. Fu una figura decisiva nel periodo della Resistenza: il 25 aprile 1945, la mattina presto a fianco del santuario, ci fu l’incontro clandestino che fece scaturire l’ordine di insurrezione in tutta la Lombardia.

La Liberazione cominciò da lì. 

Ho sognato di poter recuperare le tracce scritte di don Ambrogio. Mi ha aiutato a recuperarle Angelo Crespi, che ringrazio. Il Canto Novo e la rivista Città di Busto Arsizio, oltre a Comunità… Ripercorro le parole di stima e affetto del prevosto, monsignor Galimberti

La Prealpina nel 1946 fa presagire e poi annuncia il 29 dicembre che Sant’Edoardo diventa parrocchia indipendente (sciogliendo i legami con San Giovanni) e il primo parroco naturalmente è colui che l’ha voluta così fortissimamente. Strà Brughetto sta diventando una realtà che vuole scrivere le proprie pagine e nel 1949 ha anche il suo oratorio.

Don Ambrogio ha un grande zelo e una benedizione in arrivo: gli si affiancherà don Angelo Volontè, un’anima non meno generosa (con una passione per la Pro Patria, che agiterà un poco il vescovo).

La comunità riesce ad affrontare le proprie esigenze, grazie a una gara di solidarietà frutto dell’impegno di questi due sacerdoti. Tra i doni degli imprenditori, si citano un vitello di 70 chili offerto da Mario Crosta, una pecora da Luigi Giani e un pacco di tessuti per i chierici poveri donato dal Cotonificio Venzaghi

Eppure c’è altro che ci colpisce, ancora: una messa in rito orientale, celebrata a Sant’Edoardo. Ci sembra di fare cose tanto avanti, ma qui siamo nel 1952. O la nascita del palazzo “Pro Famiglia”, che vede mobilitati (per) i giovani fidanzati.

Tutto questo, potremmo vederlo nel futuro. Invece, bisogna voltarsi indietro e seguire don Gianotti che studia cosa serve, davvero. In occasione del nuovo salone dell’oratorio, le cronache narrano di un don Ambrogio visibilmente commosso

Nel 1955 Sant’Edoardo sarà la prima chiesa riscaldata in città. Rimarrà un’unica ferita, che il parroco non vedrà riparata: il campanile, non si riesce a finire. Bisognerà attendere molti anni. E questo ci riporta anche a un altro volto, quello di Ambrogio Borri, nato 100 anni fa.

Ecco, nel 1964 nasce la nuova sede dell’Ardor: Borri è il presidente della società sportiva, sindaco è Rossi. Si daranno medaglie d’oro a due dirigenti, Walter Zambrelli e Giorgio Mutinelli. Volti, che se ci pensi, ti viene voglia di fermarti qui, dentro questo racconto, per non farli andare via.

Perché è tutto vero, questo racconto che sta finendo in apparenza. Anche la sofferenza, di don Ambrogio che ora non sta bene e viene accudito dalla sciura Rosa: lei arrivò al suo fianco nel 1931, lei se ne andrà due anni dopo la scomparsa del sacerdote.

Una donna di fede (e preziosa nelle missioni partigiane), che aveva un’ulteriore certezza: tutto ciò che diceva e faceva don Ambrogio era giusto.

Un articolo del 1971 sulla Prealpina ci riporta questa pennellata ulteriore: la donna aiutò a far nascere quella chiesa da un campo di granoturco.

Don Ambrogio muore il 13 aprile 1969, a 67 anni. Sa però una cosa: è pronto ad andare in cielo, ma non può lasciare la sua chiesa. Non vuole fiori, niente spese, solo offerte per la sua gente.

Sacerdote, patriota… ma quanto evocativo quel grido quasi che lancia il titolo del pezzo di Angelo Borri: un uomo! Ricorda che la gente non diceva sono di Sant’Edoardo, ma «di don Ambrogio». Come accade raramente, ad esempio ai Santi Apostoli («del don Paolo»).  

No, non lascia la sua chiesa, don Gianotti: o meglio, vi torna nel 1980. In quella sua parrocchia - ricorda ancora la Prealpina - che aveva costruito quasi dal nulla. E che se oggi festeggia il suo insolito santo patrono e trova il gusto di stare insieme e di ricordarsi ancora di prendersi cura degli altri, è anche perché ha avuto questa partenza straordinaria. Perché il primo quartiere fuori dal centro, come qualcuno lo chiamava, è qualcosa di più senza esibirlo: è un quartiere di cuore, che ha sopportato persino la ferita di non avere una piazza e di doversi affacciare su un’autostrada.

 

 

Marilena Lualdi

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